31 marzo 2021

Águas de março (La pioggia di marzo), di Paolo D'Aprile

[premessa della titolare del blog: "Águas de março" è il titolo di una canzone di Tom Jobim e Elis Regina di cui una famosa versione italiana, "La pioggia di marzo", fu cantata anche da Mina  . Il titolo allude alle piogge di marzo che nel 1964 spazzarono via le ultime remore da parte di alcuni generali dell'esercito quando scatenarono il golpe, per l'appunto nella notte fra il 31 marzo e il 1º di aprile, che avrebbe trascinato il paese in una sanguinosa dittatura militare durata oltre 20 anni. Oggi, 31 marzo 2021, 57 anni dopo quella data infausta, mi scrive il mio amico Paolo D'Aprile, di cui in futuro leggerete altri testi alquanto "contundenti". Paolo è mio coetaneo e vive a São Paulo da una trentina d'anni. La nostra amicizia, che non esito a definire fratellanza acquisita, in questi ultimi anni si è assai intensificata, complici Whatsapp e la soffertissima situazione del nostro amato paese di adozione]

Mentre a Salvador un agente della Polizia Militare, in preda a un attacco psicotico, estrae la pistola e si mette a sparare sulla gente (fortunatamente senza ferire nessuno) urlando slogan bolsonaristi contro le misure di protezione e prevenzione della pandemia, in parlamento la deputata nonché presidente della Commissione Giustizia Bia Kicics convoca le Polizie Militari degli Stati brasiliani alla rivolta, a ribellarsi contro i governatori responsabili del lockdown — da sempre boicottato e osteggiato da Bolsonaro in parole, opere e omissioni. Sì, convoca all'ammutinamento; le fa ecco un noto deputato, che invita le milizie a "bastonare a sangue" le guardie municipali che controllano l'esecuzione degli ordini di governatori e sindaci: chiusura dei negozi e dei servizi, limitazioni alla circolazione, eccetera.

Nel frattempo, Bolsonaro convoca a palazzo il ministro della difesa.lo dimette sui due piedi.è colpevole di non essersi manifestato contro l'annullamento delle sentenze e del "processo Lula" che ha permesso al vecchio leader di ritornare alla ribalta della politica attiva. Il ministro della difesa avrebbe dovuto sostenere Bolsonaro nella protesta e nella minaccia i giudici della Corte, così come era avvenuto due anni e mezzo fa, quando il capo di stato maggiore dell'esercito (oggi in pensione) impose la presenza di un consigliere militare a fianco del presidente della Corte, per controllarne l'operato e imporre i suoi diktat. Il ministro della difesa viene defenestrato in tronco. Subito dopo, i comandanti di esercito, marina e aeronautica si riuniscono era assegnano le loro dimissioni irrevocabili con queste testuali parole: "noi non parteciperemo a nessuna avventura golpista".

Ed ecco che la parola Golpe viene pronunciata e resa pubblica: Bolsonaro architettava un colpo di Stato "costituzionale", l'intenzione era quella di interferire personalmente nei singoli Stati al fine di abolire tutte le misure restrittive adottate per il controllo della pandemia. Ci aveva provato qualche settimana fa con la proposta di legge che avrebbe tolto ai governatori il controllo delle Polizie Militari, i cui comandanti sarebbero stati nominati dai loro pari grado e che avrebbero risposto a un coordinamento nazionale agli ordini diretti del presidente della repubblica. La proposta è stata bloccata dall'indignazione e dalle misure di controllo parlamentari. Nonostante la sconfitta, Bolsonaro non si è dato pace. Ieri, mentre defenestrava il ministro della difesa, mentre vedeva i capi militari dimettersi, Bolsonaro voleva mettere il paese in stato di Mobilitazione Nazionale, un dispositivo giuridico che, oltre a conferire al presidente pieni poteri, gli avrebbe dato la facoltà di convocare i civili, i cittadini. Sappiamo del suo legame personale con i capi milizia, sappiamo che da due anni il decreto che facilita l'acquisto delle armi ha quadruplicato il numero di armi letali in circolazione. Lo stato di Mobilitazione Nazionale avrebbe dato la possibilità al presidente di convocare ufficialmente le milizie e gli aspiranti miliziani che lo sostengono, tra i quali molti esponenti di quella classe sociale definita, nel mio ultimo articolo, come “brasiliano medio”: lo zoccolo duro, il venti per cento della popolazione. I comandanti dell’esercito convocano la stampa e ripetono la loro affermazione: “l’esercito non si farà coinvolgere in una avventura golpista”. Di nuovo la parola Golpe viene pronunciata. Ed eravamo solo a inizio pomeriggio.

Nel frattempo, il povero soldato di Salvador viene ucciso dai suoi colleghi. Ucciso a colpi di mitra. La deputata Bia Kicics (presidente della Commissione Giustizia) e il figlio di Bolsonaro (deputato e presidente della Commissione Esteri) inneggiano a lui come a un martire della libertà, morto per difendere il Brasile dal lockdown e dalle misure di sicurezza, contro le quali Bolsonaro e i suoi lavorano instancabilmente. L'intento è quello di sobillare l'ammutinamento delle Polizie Militari, molto più forti e più armate dell'esercito. Capillarmente presenti in tutto il territorio nazionale, sono esse uno dei "sostentacoli" presidenziali, e virtualmente fedeli alla linea concepita da Bolsonaro che fa uso della violenza letale preventiva, la base della pubblica sicurezza.

A fine pomeriggio sono stati congedati sei ministri.un po' per la pressione parlamentare che impone il cambio ministeriale in modo da poter controllare la destinazione dei miliardi della legge finanziaria approvata questa settimana; un po' per iniziativa dello stesso presidente che vuole attorno a sé i suoi fedelissimi. E per la terza volta la parola golpe viene pronunciata. Stavolta da un giudice della Corte Suprema, che biasima "ogni iniziativa golpista da parte dell'esecutivo".

In questo momento, alle otto del mattino, leggo le notizie di cronaca: due cimiteri di São Paulo sospendono le attività: non c'è più posto. Il numero di morti è così alto che anche il servizio funerario non basta più, hanno convocato i mini autobus delle scuole, al posto dei ragazzi adesso portano via i cadaveri. Ieri, secondo il CONASS (il consorzio degli assessorati alla sanità) abbiamo avuto 3.780 morti, più di quelli che si contano sommando il totale di USA, Italia, Polonia, Russia, India, Francia, Ucraina, Ungheria, Germania e Messico messi insieme. Leggo che se l'alto comando militare e il ministro della difesa si sono opposti al golpe di bolso Naro, gli ufficiali e la truppa sono invece dalla sua parte, e che nelle caserme ci sono segnali di "forte inquietação", forte inquietudine. E sono solo le otto del mattino.

Paolo D'Aprile
São Paulo, 31 marzo 2021



18 settembre 2020

Di incendi, fame e economia, fra passato e presente

(dal mio profilo Facebook)

Forse non lo sapete, ma sta bruciando il Pantanal, i nativi hanno già perso oltre l'80% delle loro terre. Il governo lascia che a spegnere i focolai siano vigili del fuoco e volontari, qualche centinaio di brave persone, e non manda l'esercito ad aiutare. Oggi un altro grosso incendio sta devastando la Macchia Atlantica a Bauru, stato di S. Paulo, dove c'è (c'era?) un'importante riserva forestale.

L'annuale ricerca sui bilanci familiari (POF, Pesquisa de Orçamento Familiar) realizzata dall'Istituto Brasiliano di Statistica (IBGE) mostra un aumento del numero di persone colpite dalla fame nella misura di oltre il 40% nel biennio 2017-2019 (nel 2014, dopo 8 anni di governo Lula e alla vigilia dell'elezione di Dilma al suo secondo mandato, il paese era uscito dalla cosiddetta "Mappa della fame" dell'ONU, di cui aveva sempre fatto parte). L'insicurezza alimentare colpisce in misura maggiore le regioni Nord e Nordest, come da triste tradizione (un po' come per noi la cronica crisi del Mezzogiorno), nonché le famiglie rette da donne e più in generale da neri, mentre incide in misura molto minore nelle famiglie povere rette da uomini e più in generale da bianchi.
Dice: Sandra, parlaci di più della situazione brasiliana, come facevi qualche anno fa. Che bello quando vi raccontavo delle donne che diventavano capofamiglia ottenendo il titolo di proprietà delle casette del programma "Minha casa, minha vida", o dei giovani neri che riuscivano a entrare all'università pubblica grazie anche al sistema delle quote e dell'ENEM (l'Esame Nazionale simile alla nostra maturità, il cui voto finale viene utilizzato da alcune università in sostituzione dei test di ammissione), e poi alla laurea magistrale, e poi al dottorato. Non so se vi ricordate quando condivisi il video di una giovane alla cerimonia di laurea in economia, che scese dalla scalinata brandendo sopra la testa una zappa, e che in fondo alla scala abbracciò i genitori agricoltori (stavo per scrivere "gli anziani genitori", perché l'aspetto era quello di due vecchietti incurvati e vestiti a festa). Nel 2003 lasciai un Brasile sulla rampa di lancio, un Brasile che, pur con mille e uno inghippi, pur senza essere mai guarito dalla piaga secolare della corruzione, entrava a pieno titolo fra le prime 10 potenze economiche mondiali, usciva dalla mappa della fame, conquistava il diritto a ospitare mondiali di calcio e olimpiadi; un Brasile il cui presidente veniva chiamato ad aprire l'assemblea generale dell'ONU e che era tenuto in palmo di mano da personaggi della caratura di Barak Obama; un Brasile che, insieme a India, Sudafrica e Cina, dava le lettere iniziali ai famosi paesi BRICS, più emersi che emergenti; un Brasile che, pur perfettamente inserito in un sistema economico di tipo capitalistico e "occidentale" (no, Lula non è mai stato comunista, e chi lo taccia di esserlo o di esserlo stato è come minimo ignorante, più probabilmente in malafede), non si faceva mettere i piedi in testa dalle grandi potenze e aveva anche il coraggio di scelte audaci (ricordate la storia dei brevetti sui farmaci contro l'AIDS?). Oggi, la reputazione infausta della sua classe dirigente, presi-demente in testa, ha incenerito una reputazione faticosamente conquistata e sta facendo sprofondare il paese indietro di almeno 30 anni. Vi risparmio le notizie sull'inflazione che colpisce soprattutto la "cesta básica", il paniere dei prodotti fondamentali alla sopravvivenza; ricordo con sgomento i miei primi anni laggiù, quando l'inflazione toccava vette che potevano raggiungere anche il 40% AL MESE, o più. Quando, per pagare una signora che ogni tanto veniva ad aiutarmi con le pulizie e lo stiro, dovevo andare al macello a chiedere "a quanto sta *oggi* un chilo di carne di prima scelta?", perché consideravo immorale che una madre di famiglia con 4 figli tornasse a casa dopo mezza giornata di lavoro con meno del controvalore di un chilo di carne (e anche così, la pagavo molto, molto di più di quello che era allora il valore di mercato di una domestica a ore). Ricordo con gioia, invece, i miei primi viaggi in Brasile dopo il rientro definitivo in Italia, quando da un anno all'altro trovavo dei cambiamenti impressionanti; quando famiglie che prima potevano a malapena permettersi una bicicletta cominciavano a potersi spostare in automobile; quando nel supermercato dove nel 1991 facevo fatica a trovare del formaggio a fette industriale (il formaggio fresco lo trovavo solo il sabato al mercato) e lo yogurt dovevo andarlo a comprare nella capitale, trovavo cinque o sei tipi diversi di formaggi e una dozzina di tipi di yogurt; quando praticamente tutti i ragazzi che erano adolescenti ai tempi del Centro Giovanile li ritrovavo donne e uomini che avevano preso, vivaddio, il famoso ascensore sociale e vivevano (vivono) decisamente meglio dei loro genitori e dei loro nonni. Ho visto un Brasile in difficoltà uscire dal pantano, ho condiviso la gioia di un cambiamento in meglio che mi ricordava tanto l'Italia del boom economico fra la fine degli anni 50 e i primi anni 60 del secolo scorso; ora sono paralizzata dal timore che questo enorme passo all'indietro vanifichi tutto e riporti il paese in quello stato di sudditanza economica e culturale da cui stava vittoriosamente uscendo.
Quando ci penso mi viene da piangere, come adesso.
(scusate se sono passata di palo in frasca, dall'incendio nel Pantanal al disastro economico, ma alla fine è un tutt'uno questo nodo che mi attorciglia il cuore e lo stomaco)

Aggiornamento Covid-19 al 20 settembre 2020: quattro milioni e mezzo di casi e oltre centotrentacinquemila decessi.
(Fonte: Folha de São Paulo https://www.folha.uol.com.br/ )

"Brasil, meu amor", il ritorno

 Dopo 5 anni, conclusa l'esperienza dei corsi ARCI, torno alle origini e ripristino la "vecchia" modalità di comunicazione ben poco interattiva del blog, ma che mi permette di riportare anche qui i post, gli articoli, i link, le riflessioni che sono solita condividere su Facebook, divenuto in questi anni la mia principale casa virtuale.
Bentornato, quindi, a chi era solito passare di qui qualche anno fa, e benvenuti a tutti i nuovi ospiti di questo piccolo gazebo. Mettetevi comodi sull'amaca, favorite un succo di frutta o una caipirinha e leggete con libertà i vecchi post e, speriamo, anche quelli nuovi.


(Foto: Redes Santa Luzia https://www.redessantaluzia.com.br/ )

05 agosto 2015

Corso di portoghese brasiliano a Bologna 2015

Si riparte! Per informazioni e pre-iscrizioni scrivete all'indirizzo indicato sul volantino o nella colonna a destra in questa pagina. Vi aspettiamo numerosi, anche perché se non siete almeno in 6 il corso non può partire.
A presto

16 febbraio 2015

Corso di portoghese brasiliano a Bologna - primavera 2015


Sta per partire un nuovo corso di portoghese, affrettatevi. Iscrizioni e informazioni sul volantino (potete ingrandirlo con un clic) e all'indirizzo indicato sulla colonna di destra di questo blog. Accorrete numerosi.

30 settembre 2014

A volte ritornano

Questo è un blog dormiente. Iniziato nel 2006 con l'intenzione di raccontare un po' del mio Brasile (con il nome "Brasil, meu amor"), qualche anno fa si è trasformato in uno spazio di divulgazione dei corsi di portoghese brasiliano che tengo presso un circolo ARCI di Bologna. *
Ma proprio qualche giorno fa un'amica virtuale mi ha chiesto se avevo mai scritto qualcosa sulla mia esperienza oltreoceano, e oggi un'altra amica virtuale sollecita (non solo a me) la scrittura di un bel post di ampio respiro. Non mi resta che cogliere la doppia provocazione, approfittandone per raccontarvi la mia visione del Brasile di oggi, alla vigilia delle elezioni politiche.

Domenica 5 ottobre, infatti, i brasiliani andranno alle urne per scegliere la Presidente della Repubblica, i governatori degli stati e inoltre deputati e senatori federali e deputati delle assemblee legislative statali. Perché ho scritto "scegliere LA presidente"? Perché per la prima volta nella storia abbiamo due candidate donne in testa alla disputa per il più importante incarico nazionale.
Oltre alla presidente uscente Dilma Rousseff, infatti, è in lizza Marina Silva, subentrata dopo il tragico incidente aereo che ha tolto improvvisamente la vita al candidato del PSB (Partido Socialista Brasileiro) Eduardo Campos. Il terzo candidato, Aécio Neves, rappresentate della destra storica brasiliana, è crollato a percentuali che non gli lasciano nessuna speranza di approdare al secondo turno.

Il Brasile si prepara, quindi, a proseguire la propria esperienza con una donna alla presidenza della repubblica, consolidando una tendenza molto forte nel Sudamerica contemporaneo, già che tutti e tre i principali paesi del Cono Sud sono governati da donne (mi riferisco, ovviamente, a Michelle Bachelet in Cile e a Cristina Kirchner in Argentina). Già questa, secondo me, è un'informazione che dovrebbe dare da riflettere alle nostre storiche civiltà europee, ancora abbastanza restie a riconoscere alle donne la capacità di occupare i luoghi chiave del potere. In Italia, per esempio, siamo molto più preoccupati di commentare come si vestono le nostre ministre, o l'opportunità o meno che una di loro possa liberamente scegliere di prendere il sole in topless, o ancora se si possa essere al tempo stesso belle e intelligenti. Discorsi francamente superati in quei paesi che fino a pochissimi anni fa eravamo abituati a guardare dall'alto in basso e a catalogare come "terzo mondo".

È notizia di pochi giorni fa che il Brasile è finalmente uscito dalla "Mappa della fame" divulgata annualmente dall'ONU. Si tratta di un grandissimo successo che dimostra i passi da gigante realizzati negli ultimi 12 anni, durante i quali si sono ridotti drasticamente gli indici di mortalità infantile, analfabetismo, diseguaglianza economica. Il Brasile sta cambiando e si sta sempre più affermando sul panorama internazionale come potenza a tutto tondo, non solo economica ma anche culturale.
Non ci sono mai stati tanti studenti universitari e gli investimenti in ricerca e borse di studio all'estero hanno come obiettivo rinforzare il paese come potenza non semplicemente economica, ma anche culturale, scientifica, intellettuale. 

C'è ancora moltissima strada da fare, ma se mi guardo indietro e ripenso al Brasile che ho conosciuto 24 anni fa, all'epoca del mio primo sbarco a Recife, rimango senza parole osservando cosa è potuto diventare in pochi lustri.
E senza esitazione affermo che la responsabilità di questo cambiamento è da attribuire in buona parte (nella parte principale) a Lula, al PT (Partido dos Trabalhadores), alla continuità fra il governo Lula e il governo Dilma. Certo, anche il PT è stato inquinato da gravissimi casi di corruzione, ed è uno degli elementi che l'opposizione utilizza a mo' di mazza chiodata per cercare di delegittimare il lavoro svolto dagli ultimi 3 governi. Ma la corruzione esisteva anche prima, la differenza è che non veniva svelata, indagata, condannata. Era accettata come una cosa normale, fisiologica. Come dimenticare quello che si diceva di Antonio Carlos Magalhães, "califfo" politico dello stato della Bahia? "Rouba, mas faz", ruba ma si dà da fare. Ed era in nome di quel "darsi da fare" che continuava a essere eletto. La corruzione non l'ha inventata il PT, anche se da un partito come quello ci si aspettava qualcosa di meglio, una purezza etica maggiore. Tuttavia, al netto delle inevitabili magagne (e senza dimenticare - lo dico soprattutto a beneficio degli amici italiani - che è molto più facile fare i duri e puri all'opposizione che sporcarsi le mani con le difficoltà pratiche del governare), negare i progressi del Brasile negli ultimi anni o è ignoranza, o è malafede.

Il PT, con Lula prima e con Dilma poi, ha fatto una precisa scelta politica: partire dai poveri e diminuire le diseguaglianze. Oggi il figlio di un muratore può andare all'università. Oggi una lavoratrice domestica ha il frigorifero e la TV a colori ed esige un regolare contratto di lavoro. Sono finiti (o meglio, stanno finendo) i tempi in cui potevi trovare chi ti faceva i lavori pesanti in cambio di un piatto di riso. L'aereo lo possono prendere tutti, non avendo più bisogno di sobbarcarsi 72 ore di autobus per andare a trovare i parenti emigrati a S. Paulo. L'ascesa sociale dei poveri, seguita a ruota dall'uscita di milioni di famiglie dallo stato di miseria per raggiungere un livello di povertà ancora grave, ma minimamente dignitosa, dà fastidio a più di un brasiliano di classe media, che non vede più sé stesso come facente parte di un gruppo privilegiato. Non sono le condizioni della classe media a essere cambiate, intendiamoci: è la percezione. Resta il fatto che il Brasile è cambiato e continua a cambiare, ed è merito per la maggior parte degli ultimi 3 governi.

Per questo mi auguro che domenica prossima Dilma riesca a vincere le elezioni al primo turno (difficile, secondo le ultime indagini demoscopiche), o quanto meno che il vantaggio su Marina sia così elevato da garantire una vittoria facile al secondo turno, fra meno di un mese. È arrivato il momento anche per noi di cominciare a interessarci di più delle notizie che provengono da questo paese. Come dice il mio amico Ziraldo, nel terzo millennio il Brasile è destinato a diventare la principale potenza economica del mondo. Magari esagera, ma da rivoluzionario e visionario quale è mi contagia: ho voglia di dargli ragione e di crederci anch'io...

* se avete voglia di leggere qualcosa sulla mia esperienza in Brasile non avete che da scorrere la timeline del blog o scegliere uno dei tag qui a destra.

07 luglio 2014

Corso di lingua e cultura brasiliana a Bologna, autunno 2014

Ripartono a settembre i corsi di portoghese per principianti presso il Circolo Arci Benassi.
Pre-iscrizioni tramite email, vi aspettiamo numerosi.