23 settembre 2008

Lula all'ONU



La crisi del mercato finanziario ha costituito il tema principale del discorso del presidente Lula all'apertura della 63ª Assemblea Generale dell'ONU a New York. Citando l'economista brasiliano Celso Furtado, Lula ha affermato che "è inammissibile che il lucro degli speculatori sia sempre privatizzato, mentre le loro perdite vengono invariabilmente socializzate". Secondo Lula, l'assenza di regole del mercato finanziario "favorisce gli avventurieri e gli opportunisti".


Onestamente, non vedo come non essere d'accordo. Anche in casa nostra, basti pensare alla vicenda dell'Alitalia...

22 settembre 2008

Dopodomani, Leonardo Boff a Torino


Ricevo dall'amico don Sandro e volentieri pubblico. Dalla mia copia del Venerdì di Repubblica mancano 40 pagine ma me ne sono accorta solo adesso, quindi non ho potuto leggere l'intervista per intero.
Accontentiamoci di questo scarno estratto, chi avesse il Venerdì del 19 settembre scorso può trovare il reportage a pag. 48.

LEONARDO BOFF A TORINO

Il 24 settembre il teologo brasiliano Leonardo Boff, sconfessato e condannato dal Vaticano, sarà in Italia per "Torino Spiritualità". Marco Romani gli ha posto qualche domanda.
(Estratto dal Venerdì di Repubblica del 19 settembre scorso).

Il giudizio su Benedetto XVI è assai duro:
"Vuole costruire una Chiesa ripiegata su se stessa e sulla sua gerarchia. Non presta attenzione alle disperate condizioni dei poveri."

Una Chiesa troppo romana?
"Troppo occidentale. Benedetto XVI non si rende conto che nella storia umana l'Occidente è solo un accidente. Più della metà dei cattolici vivono nel cosiddetto Terzo Mondo e quella cattolica è una Chiesa del Terzo Mondo.
Festeggiare gli 81 anni con George Bush è un gesto simbolico: rivela che il papa sta dalla parte dei potenti e non con i poveri. Il contrario di Gesù."

Perchè papa Wojtyla sostenne il cardinale Ratzinger nella sua battaglia contro la teologia della liberazione?
"Avevano entrambi una paura ossessiva del marxismo e si muovevano, nello schema della Guerra fredda, sostenendo gli Stati Uniti.
Wojtyla e Ronald Regan erano amici, un pò come San Francesco e il lupo di Gubbio, ma stavolta non abbiamo assistito alla conversione del lupo di Washington. Il Vaticano ha visto la teologia della liberazione con gli occhi della Cia."

Si sente un eretico?
"No, e non sono mai stato condannato per eresia. Anche nello stato di laico, che era quello di Gesù, mi sento nella Chiesa come nel mio focolare spirituale. La missione della teologia non è mai stata ripetere la dottrina ufficiale, ma essere libera, per scoprire altri segni del volto misterioso di Dio".

Qual'è il suo giudizio sulla politica di Lula?
"Lula non governa come vorrebbe, ma come gli lasciano fare. Il Brasile ha subito ogni tipo di pressione per farlo restare fedele alle logiche del mercato e Lula ha dovuto pagare questo tributo ai nuovi colonizzatori. In campo sociale però ha saputo portare avanti politiche che hanno integrato più di quaranta milioni di persone e la povertà è diminuita del 7 per cento, cosa inedita nella nostra storia."

14 settembre 2008

17 anni fa - Quando ero laggiù (2)

17 anni. Come passano in fretta 17 anni.

Il 14 settembre del 1991 alle dieci e qualcosa del mattino salivo su un aereo Air France che da Bologna mi avrebbe portata a Parigi; dopo alcune ore nella Ville Lumière, un altro velivolo mi avrebbe portata a Recife.
La sera prima, il 13, avevamo fatto una grande festa con un sacco di amici arrivati un po' da tutta Italia. Molti di loro li ho persi di vista. Mi piace ricordare Marcella venuta apposta da Cagliari, Massimiliano arrivato da Roma, don Gianmario che si presentò da Verona alle 10 di sera con un regalo particolare (una cintura portasoldi, utilissima per trasportare banconote in sicurezza durante i viaggi aerei). In tutto eravamo circa 300, l'amico don Nando aveva celebrato una bellissima messa e poi ci eravamo riuniti tutti nel salone della palestra per mangiare insieme quello che ciascuno aveva portato da condividere (avanzarono ben più delle 7 ceste di evangelica memoria, tanto che i ragazzi del gruppo catechisti si portarono le vettovaglie al ritiro che fecero nel w-end e ci mangiarono due giorni...).
Dopo aver frequentato per 10 anni un'ONG di cooperazione internazionale, gli Amici del Rwanda (ora si chiamano, ci chiamiamo, Amici dei Popoli), dopo essere stata per 4 volte in Rwanda in gruppo, dopo un'esperienza nel nordest brasiliano capitata quasi per caso, era arrivato il momento del gran passo: sarei stata inserita in un progetto di sviluppo promosso da un'altra ONG, il VIS di Roma, e sarei rimasta in Brasile per due anni, con opzione sul terzo. Avevo 28 anni. Lasciavo un lavoro sicuro, un solido gruppo di amici, i miei genitori, un'Italia che ancora sapeva guardare con un po' di speranza al futuro e non era ancora stata travolta dall'onda di tangentopoli e delle sue conseguenze politiche e sociali (Andreotti era Presidente del Consiglio, Berlusconi di Mediaset e del Milan...). Ma non riuscivo a vedere quello che lasciavo. Ero proiettata solo su ciò che mi aspettava.
La mia destinazione era Matriz de Camaragibe, una cittadina incastonata nel mezzo delle piantagioni di canna da zucchero nell'interno dello stato di Alagoas, uno dei più poveri del paese.
"Che coraggio, andare via da sola in quel modo". Ebbene, nessun coraggio perché non avevo paura. Anzi, ero eccitatissima all'idea di dedicare alcuni anni a quell'esperienza. Gli amici con cui ero stata tante volte in Rwanda e con cui avevo condiviso il tempo libero ma anche la crescita, le scelte di vita, gli impegni di volontariato, loro restavano in Italia con le loro famigliole di recentissima formazione. Io "partivo" anche a nome loro.

Atterrai a Recife alle tre del mattino del 15 settembre e trovai ad attendermi don Diego Vanzetta, uno dei tre salesiani della comunità di Matriz de Camaragibe. Pensavo che a quell'ora della notte ci saremmo fermati a dormire presso l'Ispettoria salesiana. di Recife. Mi sbagliavo. Partimmo subito per Matriz e alle quattro e qualcosa del mattino, in una strada deserta in mezzo ai canaviais, forammo una gomma e dovemmo fermarci per sostituirla. Solo in seguito potei rendermi conto di quanto fosse stato pericoloso e forse anche un po' incosciente affrontare tre ore abbondanti di viaggio nel cuore della notte, per quelle strade dissestate e a rischio di assalto. Ma sono qui a raccontarlo, e tanto basta.
Era cominciata l'avventura.

06 settembre 2008

Corso di portoghese brasiliano a Bologna


Riparte il corso di portoghese brasiliano presso il Circolo Arci Benassi, a Bologna. Nel volantino qui sopra trovate tutte le informazioni del caso.

P.S. Ehm... la docente esperta e qualificata sarei io...

05 settembre 2008

Goiania, 1997 (Quando ero laggiù, cap. 1)


Avevo promesso di raccontare un po' della mia storia "a puntate", ma sono giorni movimentati e mi mancano le condizioni di tempo e concentrazione per lanciarmi nella stesura di un racconto.
Per non venir meno all'impegno preso, faccio un salto nel tempo e vado a pescare fra le mie famigerate "circolari" dell'era di internet un testo a cui sono particolarmente affezionata e che a suo tempo fu pubblicato sulla rivista dell'AIFO (Amici di Raoul Follereau ONG) con il titolo "Via i poveri dalla città". Non ho realizzato nessun intervento di editing e ve lo ripropongo così come fu scritto allora, copincollato dal file originale.
È il ritratto di come si possa realizzare un vero e proprio apartheid sociale basato sul "potere acquisitivo" anziché sul colore della pelle.



Goiânia, 04/09/97
(...) Un'esperienza che mi ha molto segnata in queste ultime settimane è stata la visita alle periferie di Goiânia. Una premessa: al mio arrivo in aprile ero rimasta colpita dall'apparente ricchezza della città. Girando per le strade di giorno e di sera si ha un'impressione di vitalità e tranquillità, è rarissimo incontrare un mendicante fermo al semaforo (al massimo qualche invalido con le stampelle) ed anche i bambini di strada sono pochi rispetto ad altre capitali brasiliane. Delle favelas, poi, neanche l'ombra.
La domanda nasceva spontanea: ma dove sono i poveri?
La conoscenza con alcuni missionari italiani che svolgono il loro servizio nelle periferie mi aveva fatto sospettare che i poveri fossero nascosti da qualche parte, ma solo in queste settimane ho potuto verificare di persona quanto la situazione sia grave anche in questa città apparentemente così "middle class".
Rapidamente, la cronistoria delle periferie di Goiânia come sono attualmente. A metà degli anni 80, ovvero in coincidenza con l'inizio della ridemocratizzazione del Brasile dopo il lungo periodo di dittatura militare, l'allora governatore dello stato di Goiás Iris Rezende (Ministro della Giustizia nell'attuale governo di Fernando Henrique Cardoso) decise di "ripulire" Goiânia da tutte le favelas e tentare di prevenire le invasioni che i numerosi immigrati senza casa realizzavano già dagli anni 70 in alcune aree periferiche della città. A questo scopo il governo dello stato rilevò una vasta area in una collina a circa 13 Km dal centro, che fu suddivisa in lotti e ceduta gratuitamente alle famiglie povere senza casa (progetto "Vila Mutirão"); il terreno fu recintato con filo spinato e le famiglie si ritrovarono ad abitare nelle precarie baracche tipiche delle favelas, nell'attesa di costruire o di ricevere dal governo una casetta in muratura (in quest'ultimo caso, col tetto in eternit che ha il pregio di trasformare le abitazioni in fornetti durante la stagione secca, in rumorosi capannoni durante le insistenti piogge estive). Insomma, un vero e proprio "campo di concentramento" nel quale si entrava solo se forniti di credenziali. A questo fatto succedettero varie invasioni di altri disperati, al punto che nel 1988 un secondo progetto, chiamato "Curitiba" dal nome di una delle capitali più sviluppate del Brasile (!!!) fu realizzato, seguito negli anni 92-93 dal "Bairro da Vitória" (quartiere della "Vittoria"...). In 13 anni, un mega-quartiere con 100.000 abitanti è sorto al lato delle periferie già esistenti, dando vita ad un'immensa sottocittà abitata da 250.000 persone, cioè un quarto della popolazione di Goiânia, tutte povere o misere, salvo i trafficanti e i piccoli e grandi delinquenti.
È in atto qui come altrove una vera e propria forma di apartheid sociale istituzionalizzato; la città è "pulita", i poveri non si vedono e molti, troppi goianiensi ignorano l'esistenza di quest'altra Goiânia attraversata (ma solo per pochi chilometri) da un'unica strada asfaltata chiamata pomposamente "l'avenida".
Contemporaneamente, il municipio continua a riasfaltare le strade del centro e dei quartieri "nobili" della città (che per inciso non sono chiamati "bairros", termine decisamente popolare, ma "settori"), perché qualche buco potrebbe pregiudicare i semiassi delle auto importate dei figli di papà (e dei papà) che qui abitano.
Il principio è semplice: se sei un cittadino dotato di "alto potere acquisitivo" ti puoi permettere ed hai diritto ad abitare in un settore, magari in un bel condominio di 15 piani con sistema di sicurezza (e ascensore doppio, affinché la domestica usi quello di servizio e non contamini quello "sociale").
Se sei dotato di "basso potere acquisitivo" forse non sei neanche un cittadino, e ti devi contentare di abitare in un luogo che ti è "concesso" da un politico "buono e generoso", vero salvatore della patria e sensibile ai problemi sociali (sempre che tu gli possa garantire il voto tuo e di tutti i membri della tua famiglia), e sempre quello stesso politico o qualcuno del suo giro ti concederà alla fine del mese la tua bella "cesta basica", ovvero riso, fagioli, margarina, farina e zucchero per mantenerti in vita e perché non si dica che a Goiânia qualcuno muore di fame. Per mantenerti schiavo.
Se poi sei una di quelle persone fortunate che hanno un lavoro, ti dovrai alzare molto presto per prendere due autobus pienissimi, il primo dei quali percorrerà un lungo tratto nella polvere o nel fango, secondo la stagione, per raggiungere dopo oltre un'ora di viaggio la casa della tua padrona, dove salirai per l'ascensore di servizio, entrerai per la porta di servizio, userai il gabinetto di servizio, lavorerai più di 8 ore al giorno, e alla fine del mese riceverai un salario minimo e, se la tua padrona è buona, qualche vestitino smesso per i tuoi bambini.
Un goianiense su quattro vive, anzi sopravvive, così. Sono quasi tutti immigrati, provenienti da situazioni disperate di mancanza di terra e di lavoro, vengono dal nord e dal nordest o dalle piccole città dell'interno dello stato. Lasciano una situazione precaria, misera, per trovarne una peggiore, vista la desolazione di queste periferie, la violenza altissima (un omicidio al giorno) che le percuote, la mancanza di una prospettiva migliore(...)