Visualizzazione post con etichetta storia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta storia. Mostra tutti i post

24 novembre 2010

E Lula diventa un fumetto

La casa editrice Sarandi, nell'ambito del progetto intitolato "Storia del Brasile a fumetti", lancia in questi giorni la collana dedicata ai brasiliani illustri. Il primo numero è dedicato, come c'era da aspettarsi, al presidente uscente Luiz Inácio Lula da Silva. Il testo è di Toni Rodrigues, scrittore per l'infanzia e autore di fumetti. I disegni, invece, sono del veterano Rodolfo Zalla, uno dei più famosi illustratori viventi di albi a fumetti. Zalla è di origini argentine e ha 80 anni. La casa editrice, che si occupa prevalentemente di libri didattici, ha messo in circolazione 37 mila esemplari dell'albo a un prezzo di 4,95 Reais (poco più di 2 euro per 48 pagine a colori).
Prendendo spunto dagli elogi ricevuti in occasione del G-20 dell'aprile 2009 da Barak Obama, che lo definì "l'uomo politico più popolare della terra", l'albo ripercorre gli episodi più salienti della vita personale e pubblica di Lula.
Chiude il volume una lettera con la quale il presidente in persona si congeda dai lettori affermando che la storia della sua vita rappresenta quella di molti brasiliani anonimi e privi di opportunità, e ringraziando tutti coloro che hanno reso possibile il successo del suo governo, dal più umile dipendente statale, ai ministri, alla moglie Marisa.
"Malgrado ci sia ancora molto da fare, concludo il mio mandato con la sensazione di aver fatto il mio dovere e con la certezza che le pagine in bianco del nostro futuro saranno riempite da uomini e donne che non rinunciano mai e che hanno conquistato il diritto a una vita dignitosa".

02 novembre 2010

Donne al potere: Dilma Roussef eletta Presidente della Repubblica

So che molti dei miei lettori aspettavano un intervento sull'elezione di Dilma, e mi scuso per il ritardo dovuto ad altri impegni.
In questi giorni, il mio ricordo è andato inevitabilmente a 8 anni fa, a quel 27 ottobre 2002 in cui Lula si affermò al secondo turno delle più emozionanti elezioni a cui mi sia capitato di assistere. Anche allora il candidato sconfitto fu José Serra. Anche allora andò al potere un personaggio dalle caratteristiche senza precedenti: un autentico uomo del popolo, un operaio le cui origini erano da cercare nel Brasile scalzo, affamato, senza erudizione. Ma un Brasile dotato di intelligenza e sapienza.
Oggi celebriamo la vittoria di una donna, Dilma Roussef. Sembra una cosa banale e scontata, ma non lo è. È un momento storico che segnerà senza possibilità di ritorno la fisionomia politica del più importante paese del Sudamerica. Una donna alla presidenza di un paese a cultura ancora fortemente machista. Una donna alla guida del 5º paese più esteso del mondo, dell'8º economia più importante del mondo. Una donna al governo di quasi 200 milioni di cittadini.
Le stesse parole pronunciate nel suo primo discorso, domenica scorsa, ci aiutano a capire che il cammino da compiere è ancora lungo:
Oggi ho ricevuto da milioni di brasiliani e brasiliane la missione più importante della mia vita.
Questo avvenimento, al di là della mia persona, è una dimostrazione del progresso democratico del nostro paese: per la prima volta una donna sarà presidente del Brasile. È il momento di sottoscrivere quindi il mio primo impegno post-elettorale: onorare le donne brasiliane affinché questo avvenimento, finora inedito, si trasformi in un evento naturale. Che possa ripetersi e ampliarsi nelle aziende, nelle istituzioni civili, nelle entità che rappresentano tutta la nostra società. L'uguaglianza di opportunità per uomini e donne è un principio essenziale della democrazia. Mi piacerebbe molto che oggi i padri e le madri guardassero le proprie bambine negli occhi e dicessero loro: SÌ, le donne ce la possono fare!
È inevitabile sognare che anche nel nostro paese possa diventare un evento naturale il fatto che una donna giunga a guidare il governo del proprio paese, giunga a occupare il posto di prima cittadina della Nazione. È inevitabile farsi travolgere dal pessimismo che gli avvenimenti italiani di questi ultimi tempi non possono che alimentare. Sembra che per la classe politica italiana contemporanea le donne siano tornate a essere oggettini decorativi. La vittoria di Dilma ci ricorda che, sì, le donne ce la possono fare.

Complimenti a Dilma e complimenti a milioni di elettori ed elettrici che hanno scelto di mettere le sorti del loro paese nelle sue mani. 

23 ottobre 2010

Feliz Aniversário, Pelé

Il 23 ottobre 1940 nasceva a Tres Corações, una piccola città nello stato di Minas Gerais, il piccolo Edson Arantes do Nascimento, che tutto il mondo oggi conosce col soprannome che lo ha reso celebre: Pelé.
Quanti altri giocatori di calcio possono vantare tre titoli mondiali con la nazionale del proprio paese, e più di mille gol (per la precisione, 1.281) al proprio attivo? Quanti altri idoli dello sport possono vantare una popolarità planetaria, un'esperienza come Ministro dello Sport, come attore internazionale, come ambasciatore dell'Unesco?
La figura di Pelé non è esente da zone d'ombra, ma nessuno è perfetto, nemmeno O Rei, il Re del football.
Oltre a essere un grande sportivo, ha saputo dimostrare di essere anche una persona di notevole spessore: malgrado gli scandali che hanno coinvolto suo figlio (arrestato per droga qualche anno fa), malgrado una figlia riconosciuta quando era già una donna fatta, ha saputo mantenere sempre un'immagine più che rispettabile impegnandosi in prima persona nella lotta contro le discriminazioni razziali e soprattutto facendosi testimonial della lotta contro il consumo di droga da parte dei giovani.
Io resto dell'opinione che sia stato il miglior giocatore di calcio del XX secolo, e mi scusino gli ammiratori di Maradona.
Buon compleanno, Pelé.  Ti vogliamo bene.

04 ottobre 2010

Dilma e Serra al secondo turno, ma la vera sorpresa è Marina Silva

Alla solita velocità record, dovuta al voto elettronico e al relativo scrutinio digitale, poche ore dopo la chiusura delle urne è arrivato il risultato delle elezioni presidenziali in Brasile: Dilma Roussef (PT, 46,9%) e José Serra (PSDB, 32,62%) disputeranno il secondo turno domenica 31 ottobre.

Ma la vera sorpresa di questa tornata elettorale è costituita dallo strepitoso successo di Marina Silva, la candidata del Partito Verde: il 19,33% del voti validi, pari a 19,6 milioni di preferenze, è andato a lei.
Anche se Lula aveva scelto Dilma per la successione a otto anni di governo, durante i quali si è visto attribuire indici di approvazione senza precedenti (anche superiori all'80% in alcuni momenti del suo doppio mandato), è forse Marina la più autentica erede morale del presidente operaio. Anche lei è stata una ragazza del popolo, ha imparato a leggere e scrivere a 15 anni ma ciò non le ha impedito di evolversi, iscriversi all'università, laurearsi in storia e diventare una delle più attive leader della lotta per la difesa del grande polmone del mondo, l'Amazzonia. È stata senatrice e ministra dell'ambiente nel primo governo Lula. Si dimise per conflitti con la linea politica del presidente e uscì anche dal PT, fondando il Partito Verde (PV).
Sarà lei l'ago della bilancia per il secondo turno. Personalmente non nutro molti dubbi: o si schiererà con Dilma, o lascerà libertà di voto ai propri elettori. In entrambi i casi, a Dilma non sarà difficile raggranellare quel minimo 5% che le consentirà di diventare la prima presidente donna del gigante sudamericano.
Diversa invece la situazione nel mio stato di adozione, il Pernambuco. Qui, il candidato del PSB Eduardo Campos, governatore uscente sostenuto da una coalizione di centro sinistra molto larga, è stato riconfermato con un vero e proprio plebiscito: 82,84%, pari a circa tre milioni e mezzo di preferenze. Jarbas Vasconcelos (PMDB), suo diretto oppositore e già governatore dello stato (lo era negli anni in cui abitavo a Recife) ha dovuto accontentarsi di un misero 14,06%.
Oltre al secondo turno presidenziale, otto stati più il distretto federale voteranno per scegliere al ballottaggio il proprio governatore;  altri 17 sono stati eletti al primo turno.
Ora aspettiamo il pronunciamento di Marina, e soprattutto i risultati del 31 ottobre, per conoscere la precentuale di elettori che sceglieranno Dilma come propria presidente.


28 dicembre 2009

Monte Castello

Sta per terminare lo sceneggiato brasiliano "Vento di passione", trasmesso da Rai Tre dall'una alle due del pomeriggio. Ho trovato molto interessanti le ricostruzioni, fatte a partire da filmati originali d'epoca, della partecipazione della FEB (Força Expedicionária Brasileira) alla seconda guerra mondiale, a fianco delle truppe alleate. 
I soldati brasiliani hanno combattutto proprio qui, sulla linea gotica, a pochi chilometri da Bologna e per l'esattezza in quella fetta di appennino tosco-emiliano a cavallo fra Bologna, Modena e Pistoia. Eppure i nostri libri di storia non ne parlano. Io l'ho scoperto nel 1993, due anni dopo il mio arrivo in Brasile, grazie a un ragazzino della comunità appassionato di storia e che venne a chiedere proprio a me informazioni sulla battaglia di Monte Castello. Prima di allora non ne avevo mai sentito parlare, eppure a Gaggio Montano - ed esattamente dalle parti della frazione di Bombiana - da ragazza c'ero stata decine di volte perché ci abitava il nonno di un mio carissimo amico. Spesso, soprattutto d'estate, si andava lassù a prendere il fresco. Ora c'è un monumento ai caduti, una scultura moderna formata da due semicerchi che rappresentano le scie degli aerei e che, visti dall'alto, disegnano una croce.





Nelle varie battaglie combattute accanto alle truppe americane, ma anche alle nostre brigate partigiane, l'esercito brasiliano ha perduto quasi 500 soldati che sono stati seppelliti nel cimitero militare di Pistoia. Nel 1960 i corpi sono stati traslati a Rio de Janeiro, dove riposano nella spianata di Flamengo.





Il vecchio cimitero militare brasiliano di Pistoia è diventato un monumento alla memoria. Si trova nell'estrema periferia della città, vicino alla zona industriale, e purtroppo la segnaletica è scarsa. Ci sono stata in visita nel luglio scorso in un pomeriggio torrido, purtroppo la fotografia non è venuta molto bene ma rende l'idea delle dimensioni e della maestosità del memoriale.





Ecco come da uno sceneggiato televisivo si può arrivare a sapere qualcosa di più sulla storia di un paese e di un popolo, e a capire che i motivi per cui i nostri due popoli sono così legati non si limitano ai soliti stereotipi ma possono spingersi molto più in là.


Per chi volesse saperne di più, con un clic sul titolo di questo post visiterete la pagina di Wikipedia (in italiano) dedicata alla spedizione della FEB in Italia.

14 ottobre 2009

E dopo "Terra Nostra", ecco "Vento di Passione"

Sbarca su Rai Tre "Vento di Passione", o forse dovremmo dire "Aquarela do Brasil", titolo originale di questa miniserie in 60 puntate trasmessa dalla TV Globo in terza serata da agosto a dicembre 2000.
La vicenda si svolge nel conturbato periodo della seconda guerra mondiale, dopo che il Brasile era passato da una politica filo-fascista all'alleanza con gli Stati Uniti d'America, cui avrebbe fornito acciaio per la produzione di armi in cambio della costruzione di fabbriche e centrali idroelettriche.
Non ho assistito a questo sceneggiato quindi non so dire molto di più delle informazioni reperite in rete. La protagonista è la bellissima Maria Fernanda Candido, la Paola di Terra Nostra, che interpreta Isaura Galvão, una giovane donna dell'entroterra di Rio de Janeiro che decide di dedicarsi alla canzone. Due uomini se la contenderanno: il capitano dell'esercito Hélio Aguiar (interpretato da Edson Celulari) e il pianista Mário Lopes (interpretato da Thiago Lacerda, il Matteo di Terra Nostra). Tutta la vicenda dovrebbe ruotare intorno alle vicende della Seconda Guerra, compresi la spedizione brasiliana in Italia, i drammi dell'Olocausto e la fuga in Brasile degli ebrei scampati ai campi di concentramento.
Per chi ne ha tempo e voglia, ecco un'occasione, per quanto edulcorata e semplificata, di venire a conoscenza di un periodo particolare della storia brasiliana del XX secolo.
Buona visione!

15 luglio 2008

Anarchia all'italiana

Nell'intento di scrivere un post sull'immigrazione italiana in Brasile mi sono messa a fare qualche ricerca in rete e ho scoperto alcune storie interessanti a proposito dell'espansione degli ideali anarchici a opera di emigranti italiani.
Due storie su tutte: la Colônia Cecilia e l'anarchico Oreste Ristori.

La Colônia Cecília. Il famoso compositore brasiliano Antônio Carlos Gomes (1836-1896), durante il suo soggiorno in Italia conobbe il pisano Giovanni Rossi, nipote dell'anarchico Lauro Rossi. L'imperatore Dom Pedro II ne sentì parlare e invitò il giovane idealista italiano a fondare una comunità anarchica in Brasile, donandogli 250 alqueires di terra (una misura agraria di cui non ho trovato la corrispondenza esatta: a seconda della regione, spazia dai 20 a 50 mila mq) nello stato del Paraná. Qui si installò la Colônia Cecília, che sopravvisse solo dal 1890 a 1894 e, stando alle informazioni di Wikipedia, si estinse a causa dei conflitti con le comunità limitrofe e con il clero. Una curiosità: all'interno della colonia veniva praticata la poligamia.

Oreste Ristori. Fra i tanti anarchici italiani che emigravano verso le Americhe all'inizio del XX secolo (non possiamo dimenticare la vicenda di Sacco e Vanzetti), spicca in Brasile la figura di Oreste Ristori da San Miniato, a cui il professore di storia Carlo Romani dell'Universitá di Campinas ha dedicato la propria tesi di laurea, poi trasformata in libro, dal titolo "Oreste Ristori. Un'avventura anarchica". Ristori rimase a São Paulo per 32 anni, dal 1904 al 1936, dove fu anche direttore di un periodico anarchico, "La battaglia". Fu definito uno dei peggiori agitatori mai visti in terra brasiliana e venne espulso dal governo di Getúlio Vargas nel 1936, in quanto indesiderato.

È innegabile l'importanza dell'immigrazione italiana in tutto il movimento anarchico brasiliano. Il primo grande sciopero generale avvenuto in Brasile nel 1917 fu possibile solo grazie all'organizzazione appoggiata dai nostri operai immigrati. Il movimento anarchico perse tuttavia molte forze con la fondazione, nel 1922, del Partito Comunista. La sua scomparsa definitiva può essere fatta risalire al colpo di stato del 1964.
Insomma, l'avreste mai detto che in Brasile dire anarchia significhi quasi automaticamente dire Italia?...

10 aprile 2008

Il Libro: aggiornamenti

Le novità sono che ho trovato una grandissima disponibilità da parte della casa editrice. La colpa c'è, ma non c'è stato dolo, non c'è stata malafede.
Si stanno prodigando per rimediare e stiamo negoziando diverse condizioni interessanti per il lancio del libro.
Insomma, non tutto è perduto.
Grazie a tutti per l'appoggio e la solidarietà e, mi raccomando... leggete il libro!

P.S. Oggi la mia amica A.P. è stata qui e le ho letto alcuni brani. Si è commossa e ha pianto. Non mi ero resa conto di quanto quei testi potessero essere contundenti. Sono orgogliosa del mio lavoro, ma soprattutto sono onorata di averlo potuto fare...

08 aprile 2008

È uscito il libro!!!


"Roma, due del mattino", il libro che contiene una selezione delle lettere di Dom Helder Camara dal Concilio Vaticano II di cui sono stata curatrice e traduttrice, è finalmente uscito.
In anteprima, potete leggere sul sito della rivista Jesus un estratto dell'introduzione scritta da me e da Luis Carlos Marques e alcuni brani scelti delle lettere
cliccando qui.

Unica nota negativa: le edizioni San Paolo hanno "dimenticato" di scrivere il nome della curatrice e traduttrice dell'opera sul frontespizio, per cui in sede di catalogazione bibliografica sembrerà che il libro si è tradotto da solo...

P.S. Ho consultato un avvocato. Pare che in casi come questo ci siano gli estremi per un'azione legale...
Aspetto di sbollire la rabbia e poi decido il da farsi.

21 marzo 2008

Venerdì Santo, tradizioni del Nordest

Oggi è il Venerdì Santo, giorno festivo in Brasile (il lunedì dell'Angelo, invece, è un normale giorno lavorativo).
La tradizione di questa festività ha le sue radici nell'epoca dello schiavismo; per rispetto alla morte di Nostro Signore Gesù Cristo, infatti, il Venerdì Santo era l'unico giorno dell'anno in cui agli schiavi era consentito di non lavorare. Non c'è da stupirsi, quindi, se questa ricorrenza è diventata un giorno di festa.
Nel Nordest sopravvivono ancora molte tradizioni antiche, legate soprattutto alle abitudini alimentari. In primo luogo, il cosiddetto "digiuno" (jejum) viene identificato con l'astinenza dalla carne; non è raro sentirsi fermare da un povero che chiede dei soldi per... fare il digiuno!... cioè per comperare del pesce.
Ma i piatti più tradizionali del venerdì santo nordestino sono costituiti da cibi poverissimi come i fagioli freschi, la pappa di zucca e la famosa (o famigerata?) maniçoba, una pappa verde preparata con le foglie fresche della manioca, dall'aspetto ambiguamente simile a quello degli escrementi bovini...
Questa sera nelle chiese cattoliche sarà realizzata la processione del Cristo Morto, durante la quale una macabra statua di Gesù deposto dalla croce, coperta da un drappo viola, viene portata in giro per le strade con l'accompagnamento di canti e musiche bandistiche.
Anche nelle nostre città dell'Italia centrale e meridionale sopravvivono tradizioni analoghe. Ricordo che in occasione della mia prima Pasqua brasiliana mi venne spontaneo fare il paragone con le cerimonie della Settimana Santa a Castiglion Fiorentino (AR), paese natale di mia madre, e con la processione del Venerdì Santo a cui ebbi occasione di assistere parecchi anni fa a Cascia (PG).
La religiosità popolare cattolica resiste al tempo e crea strani affratellamenti a migliaia di chilometri di distanza...

Approfitto dell'occasione per augurare a tutti quelli che mi leggono, quale che sia il loro credo (o il loro non-credo), una Pasqua serena e una primavera ricca di vita nuova.

Dimenticavo: oggi, 21 marzo, nell'emisfero Sud ha inizio l'autunno...

29 febbraio 2008

Il senso del tragico (Julio Monteiro Martins)

Ringrazio l'amico Julio per avermi consentito di pubblicare il suo testo sul mio blog. La rivista Internazionale gli aveva chiesto un articolo sulla politica italiana, e invece Julio si è lanciato in riflessioni decisamente più interessanti sul senso del tragico e sulla Storia, richiamandosi efficacemente anche a un importante episodio della storia brasiliana.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Internazionale in edicola oggi.

Il senso del tragico
di Julio Monteiro Martins

Ho un rifiuto viscerale all’idea di scrivere sulla politica italiana di questi ultimi tempi, il senso di ribrezzo profondo di chi è costretto a immergersi in un ristagno di acque fetide per poi sentire strisciare su per le gambe un’orrenda fauna entomologica. La metafora della melma torbida è appropriata perché il kitsch buonista o cattivista dei politici è melmoso e appiccicoso, mentre la Storia, quella vera, esige per compiersi il senso del tragico, marmoreo e tagliente. Ho tanta nostalgia della storia, o della possibilità della storia, e perciò non riesco a parlare dell’amministrazione spicciola degli interessi privati.

L’Italia, come il Brasile, soffre di un deficit di tragicità, interrotto solo per alcuni brevi periodi dall’esplosione di contraddizioni latenti e insidiose: per l’Italia, penso al senso di smarrimento e abbandono dell’8 settembre, per il Brasile al suicidio di Getúlio Vargas nel 1954, alla sua lettera testamento, “esco dalla vita per entrare nella storia”. Ma il fatto è che subire il tragico è ben diverso dall’averlo metabolizzato come parte inscindibile del carattere nazionale. Tanti cambiamenti importanti si fanno proprio svelando l’epico e cavalcando il tragico, facendolo emergere come fattore di rottura. Il tragico s’incentra sul fato, sull’inesorabile, ma anche sul sogno, sull’utopia, sulla sua forza motrice segreta. Il salto di qualità non sarà certo lo spostamento da destra a sinistra o dall’arcaico al moderno, ma dal superfluo e irrilevante all’essenziale. E l’attesa degli eventi è esasperante.

Quando si rimane sulla superficie delle cose, quando la patria – come nel Macbeth – ha “paura di conoscere se stessa”, il destino della società non puù mettersi in gioco, nemmeno nelle cronache elettorali. Ci sarà solo un cambio di guardia di basso profilo e al posto di soluzioni – lo vedremo negli anni a venire – ci saranno solo rinvii e mascheramenti.

Al lettore dotato di grande fantasia, e quindi capace di interessarsi alla politica italiana, devo chiedere scusa per non aver scritto sulle scelte dell’Udeur, sulla Rosa Bianca o su quella nel Pugno, su Yes We Can o… ebbene sì, sul Cavaliere del Lavoro. Ma per questo ci sono i quotidiani, sempre un po’ isterici da queste parti. Ho preferito suggerire che forse, sull’altra sponda della palude, oltretutto e nonostante tutto, c’è la nostra storia in attesa di compiersi. E si compirà. Più la flaccida retorica cercherà di raggirarla, più dirompente sarà il momento della sua comparsa in scena.


16 dicembre 2007

I cent'anni di Oscar




Ieri Oscar Niemeyer, uno dei più grandi architetti viventi, ha compiuto cent'anni. Ne aveva poco più di 50 quando, insieme all'urbanista Lúcio Costa, progettò dal nulla la città di Brasilia (nella prima foto, la Cattedrale a forma di fiore rovesciato), e 90 suonati quando fu inaugurato il MAC di Niterói, Rio de Janeiro (Museu de Arte Contemporânea, foto 3).
Della propria arte ha detto: "Non mi attira l'angolo retto. Né la linea retta dura, inflessibile, creata dall'uomo. Mi attrae invece la curva libera e sensuale. La curva che ritrovo nelle montagne del mio paese, nel sinuoso corso dei suoi fiumi, nelle onde del mare, nelle nuvole del cielo, nel corpo della mia donna preferita. Di curve è fatto tutto l'Universo. L'Universo curvo di Einstein."
Si dichiara comunista e in quanto tale un socializzatore del proprio talento e delle proprie idee, in una logica di responsabilità sociale. "Ho due caratteristiche che custodisco con soddisfazione: una è questo disinteresse per il denaro. L'altra il mio desiderio di aiutare le persone, essere utile, aiutare".
Ancora lucidissimo a dispetto dell'età, a 98 anni si è unito in seconde nozze con la "giovane" segretaria, l'ultrasessantenne Vera Lúcia Cabreira. Era rimasto vedovo nel 2004 in seguito alla morte della moglie Annita Baldo, sposata nel 1928 e da cui aveva avuto una figlia, Ana Maria Niemeyer; oltre all'affetto di Vera Lúcia e Ana Maria, Oscar Niemeyer può contare su quello di 5 nipoti, 13 bisnipoti e 5 trisnipoti.
Chi fosse interessato a saperne di più, può fare un giretto qui:
http://www.niemeyer.org.br/0scarNiemeyer/home.html
Auguri caro Oscar e grazie a nome del mondo per la tua straordinaria opera che ho avuto il privilegio di conoscere e apprezzare in più di un'occasione.
Che questi ultimi anni di vita non ti siano penosi, e che tu possa andartene un giorno alla grande, così come hai vissuto.

23 novembre 2007

Matriz de Camaragibe (2)



Matriz de Camaragibe: dovendone tradurre il nome in italiano, potrebbe chiamarsi "Pieve del Camaragibe". Si trova qui, sulle sponde del rio Camaragibe, una delle chiese più antiche della regione, dedicata al Signor Buon Gesù. La sua costruzione ebbe inizio nel 1686 e terminò nel 1700. Intorno alla chiesa ebbe luogo il primo popolamento della città.
L'attuale città di Matriz fu donata al Signor Buon Gesù dal capitano José de Barros Pimentel (che l'aveva ricevuta dalla sorella, Dona Brites Pimentel) come ringraziamento per alcune spedizioni militari andate a buon fine, probabilmente contro gli schiavi fuggitivi rifugiati nei Quilombos della regione. La parte di terreno donata al Signor Buon Gesù (nel concreto, alla Chiesa) fu chiamata "Ilha" cioè Isola, perché durante i periodi di alluvione era l'unico pezzo di terra che emergeva dalle acque tutt'intorno. All'epoca questo appezzamento aveva un unico abitante, di nome Gonçalo Moreira.
Il Signor Buon Gesù, la cui ricorrenza si festeggia il 1º gennaio, altri non è che il Bambin Gesù.
Nella nicchia della chiesa, tuttavia, si vedono due statue del bambinello; non di rado le persone che non conoscono la storia si convincono che si tratti dei santi Cosme e Damiano. In realtà, quando nell'800 la statua "titolare" (con fama di essere miracolosa) fu mandata a Salvador per una riparazione, fu provvisoriamente sostituita con una copia. Ma anche questa seconda immagine conquistò ben presto la fama di essere foriera di miracoli. Così, quando parecchio tempo dopo (mesi? anni?) la statua principale ritornò al suo posto, i fedeli non vollero rimuovere la copia. Da allora le due statue troneggiano insieme, "o Bom Jesus e o Companheiro" (il Buon Gesù e il suo Compagno).
L'unico caso nella storia in cui il Figlio Unigenito di Dio ha un fratello gemello...

05 novembre 2007

Anche questa è fatta

Finalmente ho consegnato la mia traduzione. Fra qualche mese sarà disponibile nelle librerie e forse diventerà un'opera di cui si parlerà a lungo, almeno negli ambienti legati alla Chiesa Cattolica.
Come promesso ve ne parlo brevemente, anche perché ha tutto a che vedere con il tema di questo Blog.
Ho avuto il privilegio (e la responsabilità!) di essere la curatrice e la traduttrice di una selezione delle lettere circolari che Dom Helder Camara (1909-1999), il profeta dei poveri, scrisse a un gruppo di collaboratori e amici brasiliani durante le sessioni del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Per sapere chi era, vi basta digitare il suo nome su Google. Sul sito "Santi e Beati" (!!!) dicono di lui:

Non è un santo canonizzato, ma rappresenta la figura di un profeta evangelico santificato dal Popolo di Dio. Vescovo cattolico del Nord Est del Brasile, dal 1966 ha guidato e animato innumerevoli azioni non violente intraprese dai più poveri per la difesa dei loro diritti e della loro terra, scontrandosi con le pretese dei latifondisti, che vedevano in lui un pericoloso perturbatore dell’ordine pubblico. Scelse di vivere in povertà nella periferia della metropoli lasciando ai Poveri il suo palazzo vescovile. Appena compiuti i 75 anni furono subito accolte le sue dimissioni. Alcuni sacerdoti tra i suoi più stretti collaboratori furono uccise e lui pure più volte minacciato di morte. Resta una delle figure più luminose del Concilio Vaticano II; fu ispirandosi a lui che Papa Giovanni dichiarò: “la Chiesa Cattolica è Chiesa di tutti ma soprattutto dei Poveri”.

La sua arcidiocesi era quella di Olinda e Recife, la "mia" (la nostra!) Recife. Passare da quelle regioni e non rimanere impregnati della sua testimonianza è impossibile. Come se non bastasse, negli ultimi mesi della mia permanenza laggiù (fine 2002-inizio 2003) ebbi la possibilità di conoscere il prof. Luiz Carlos Luz Marques, attuale responsabile del progetto internazionale di pubblicazione dell'opera omnia di Dom Helder. Luiz Carlos aveva da poco terminato il suo dottorato in Storia in Italia... niente meno che a Bologna, presso l'Istituto per le Scienze Religiose presieduto allora dal compianto prof. Giuseppe Alberigo. Inevitabilmente, la bolognese trapiantata a Recife e il brasiliano che aveva trascorso 6 anni a Bologna non potevano che fare amicizia. Da quel sodalizio nacque allora il progetto di tradurre e pubblicare in Italia il frutto della sua tesi di dottorato: le 297 lettere (tutte datate e numerate) che il Dom aveva scritto ai suoi collaboratori brasiliani durante i lavori del Concilio.
Ci sono voluti 5 anni perché quell'ambizioso progetto andasse in porto. La casa editrice che pubblicherà il volume ha scelto, sapientemente, di operare una selezione del materiale, in modo da ridurre le pagine da circa un migliaio a 350. La scelta dei testi (lettere e brani di lettere) è stata opera mia, naturalmente dopo aver stabilito i criteri di selezione insieme all'editore e ai responsabili dell'Istituto Dom Helder Camara di Recife, detentore dei diritti sugli scritti del Dom.

Per il momento mi fermo qui. Tornerò a parlare del libro quando sarà sugli scaffali delle librerie, e magari vi regalerò qualche brano scelto.
Un'ultima osservazione: non pensate che si tratti di roba da "topi di sacrestia". Si tratta di materiale che potrà suscitare parecchi dibattiti e polemiche. Dom Helder era un profeta e i profeti, si sa, rompono le scatole anche dopo morti...

07 settembre 2007

7 settembre 1822: indipendenza o...?

Al grido di Indipendenza o morte! sulle rive del fiume Ipiranga, il principe reggente Dom Pedro sancì la cosiddetta indipendenza del Brasile. Era il 7 settembre 1822.
Per questo il 7 di settembre è festa nazionale in Brasile, è il Dia da independência, la cosiddetta "emancipazione" del Brasile.
Ma quale emancipazione?, verrebbe da dire.
Dom Pedro disse eu fico, io rimango, quando la famiglia reale portoghese decise di rientrare in Portogallo. I reali erano di fatto scappati da Lisbona per sfuggire a Napoleone e avevano trasferito la corte a Rio de Janeiro. Scampato il pericolo napoleonico, in Portogallo iniziarono delle agitazioni promosse dalla borghesia mercantile, dal clero e dai militari; si trattava di movimenti che toccavano l'economia del paese, e che imposero il ritorno in patria di Re Giovanni (Dom João VI).
Il primo re del Brasile, quindi, altri non fu che l'erede al trono del Portogallo...
Un'altra cosa di cui non si parla è che, in cambio dell'indipendenza, il Brasile si accollò il debito apocalittico che il Portogallo aveva con l'Inghilterra. Per dirla in parole povere, l'indipendenza è stata venduta al Brasile.
La storia del debito estero del gigante sudamericano ha quindi radici antiche, molto antiche...

Negli anni 90, accanto alle tradizionali sfilate militari, i movimenti popolari lanciarono la manifestazione del Grito dos excluídos", il grido degli esclusi, che ancora oggi riunisce migliaia di persone nelle principali piazze delle capitali e delle grandi città. Le previsioni per la città di Recife, quest'anno, sono di diecimila manifestanti. Ho dovuto frugare parecchio in rete per trovarne notizia. I giornali parlano solo della sfilata militare e del "riscatto del sentimento patriotico"...

Indipendenza vera, per tutti: quando?
Feliz 7 de setembro.

26 agosto 2007

Diritto alla memoria e alla verità

Il governo brasiliano, tramite la Segreteria Speciale per i Diritti Umani della Presidenza della Repubblica, ha pubblicato un libro dal titolo "Direito è memória e à verdade" (Diritto alla memoria e alla verità), documento nel quale vengono riconosciute ufficialmente le responsabilità della Polizia Militare e Civile nelle torture atroci subite dagli oppositori del regime durante il periodo della sanguinosa dittatura militare.
Lo Stato riconosce quindi per la prima volta la versione secondo la quale la repressione politica decapitò, squartò, stuprò, torturò e occultò cadaveri e commise molte altre crudeltà contro gli oppositori della dittatura.

Alla fine degli anni 80/primi anni 90, il Cardinal Paulo Evaristo Arns era stato il promotore di un progetto chiamato "Brasil Nunca Mais", Brasile mai più, a cui fece seguito la pubblicazione di un libro contenente molte agghiaccianti testimonianze sulla tortura.
Ricordo di averlo sfogliato, ma di non essere riuscita a spingermi oltre la quinta pagina (se qualcuno fosse interessato a leggerne buona parte in portoghese, può trovare il testo qui:
http://www.dhnet.org.br/dados/projetos/dh/br/tnmais/index.html).
Ma è importante che questo nuovo documento arrivi dal governo e finalmente faccia giustizia alla storia.
Nel 1995, l'allora presidente Fernando Henrique Cardoso aveva promulgato una legge con cui lo Stato assumeva la responsabilità sulle "morti non naturali" avvenute durante il ventennio 1964-84.
Ora, finalmente, si dice come avvennero queste famose "morti non naturali".
Numerose anche le torture di tipo sessuale, a cui erano sottoposti sia le donne che gli uomini.
"Furono interminabili giornate di Sodoma. Mi calpestarono, mi sputarono addosso, mi fecero in mille pezzi. Mi violentarono nei miei angoli più intimi. Fu un tempo senza sorriso. Un tempo di scherno, di grida soffocate, di urla nel buio", scriveva Maria Auxiliadora Lara Barcellos. Catturata e torturata dalla polizia militare, nel 1971 fu esiliata in Cile insieme ad altri compagni, in cambio della liberazione dell'ambasciatore svizzero che era stato sequestrato dall'Avanguardia Popolare Rivoluzionaria.
Maria Auxiliadora sarebbe morta suicida 5 anni dopo, a Berlino, dove si gettò sotto a un treno.
Questa e altre storie possono essere lette nel documento pubblicato dal governo, che sarà presentato ufficialmente dal Presidente Lula mercoledì prossimo. Si parla anche dell'istituzione di una "Commissione della verità" che faccia luce su che fine abbiano fatto cadaveri di molti desaparecidos, ancora reclamati dalle famiglie.
È un momento importante, in cui la storia viene riscritta dagli sconfitti. A futura memoria, per non dimenticare.
(Fonte: Folha de São Paulo)

03 agosto 2006

Un po' di storia: il Brasile del XX secolo

Dopo la proclamazione della Repubblica (1889) il governo del Brasile viene gestito dall’alternanza dei politici che fanno riferimento da un lato alle oligarchie del caffè di S. Paolo e Rio de Janeiro, dall’altro ai grandi allevatori di bovini che hanno occupato lo stato delle Minas Gerais dopo la fine del ciclo dell’oro (per questo motivo, quest’epoca storica viene ricordata come quella del caffelatte).
Nel XX secolo ha inizio l’industrializzazione che ha il suo fulcro nelle regioni Sud e Sudest e a cui contribuiscono massicciamente gli immigrati europei, sia come operai che come piccoli imprenditori; agli italiani si aggiungono i tedeschi che fuggono dagli stenti del primo dopoguerra, ebrei fuggiti dalle persecuzioni naziste, famiglie dell’est europeo e, dopo la seconda guerra, anche molti giapponesi.

Nel 1912 viene fondata la prima università del paese, nello stato del Paraná (Sud), a cui fanno ben presto seguito altre istituzioni accademiche sparse il tutto il territorio nazionale.

Mentre l’Europa brucia, il Brasile insegue il suo sviluppo: è di quest’epoca il periodo dello Stato Nuovo e della dittatura di Getúlio Vargas (1937-1945), che inizialmente simpatizza per i regimi nazifascisti ma fa ben presto dietro-front per allearsi agli Stati Uniti che gli hanno promesso aiuti consistenti per l’implementazione di centrali elettriche.

Lo sapevate? L’esercito brasiliano combatté a fianco degli alleati proprio nel nostro appennino, nella zona fra Gaggio Montano, Montese e Porretta; solo pochi anni fa le salme dei soldati morti nel combattimento per la presa di Monte Castello, nei pressi di Pistoia, sono state riportate in patria.

La necessità di infrastrutture e di sviluppo economico e sociale del paese genera un impulso molto forte; intanto l’università comincia a sfornare i primi cervelli autenticamente ‘brasiliani’. Nel 1958 il presidente Juscelino Kubitschek dà inizio alla costruzione della nuova capitale federale, Brasilia; un progetto architettonico ambizioso che fa sorgere in soli 3 anni una città del futuro nel cuore del semiarido situato in un altipiano al centro del paese. La città è bellissima ed efficiente, la sua costruzione ha creato occupazione ma anche una voragine nei conti economici del paese. Il fermento sociale, culturale e politico è grande, i brasiliani vogliono sempre più affrancarsi dalle dipendenze straniere ed iniziare a risolvere le proprie contraddizioni sociali.

Nel Nordest, il pedagogo Paulo Freire studia un nuovo metodo di alafabetizzazione degli adulti a partire dalla loro situazione di povertà economica e sociale: è la Pedagogia dell’oppresso, che dà inizio ai movimenti di educazione popolare che nei primi anni 60 si espandono per il paese.

Il 31 marzo 1964 i militari, con un colpo di stato, prendono il potere, con l’appoggio esterno degli Stati Uniti; la dittatura, brutale e violenta soprattutto nel periodo dal 1968 al 1975, si estenderà fino al 1984, anno dell’inizio del processo di cosiddetta ridemocratizzazione del paese.
I militari spingono l’industrializzazione e la tecnicizzazione del paese, ma smantellano sistematicamente le grandi conquiste sociali degli anni precedenti: la scuola e la sanità pubblica perdono progressivamente qualità, penalizzando soprattutto le fasce meno abbienti mentre i più benestanti possono comunque ricorrere alle strutture private a pagamento. Di tale situazione i brasiliani soffrono ancora oggi, sebbene qualche piccolo miglioramento cominci a farsi sentire.

Nel 1988 viene promulgata la nuova costituzione e nel 1989 vengono realizzate le prime elezioni dirette del Presidente della Repubblica.

21 giugno 2006

Un popolo, molti volti

Dal punto di vista culturale, il Brasile presenta un’enorme varietà di usi e costumi, dovuta alla presenza di più gruppi etnici insediatisi qui da tempo. Se oggi i bianchi (o coloro che si dichiarano tali, visto che questo dato viene raccolto in base ad un’autodichiarazione) rappresentano circa il 50% della popolazione, studi genetici recenti indicano che nelle vene di molti di essi scorre sangue nero ereditato da qualche avo.

I neri raggiunsero il Brasile come schiavi ad opera dei portoghesi, che necessitavano di docile manodopera per le loro coltivazioni.

DIVAGAZIONI STORICHE: LO SCHIAVISMO E LE RIVOLTE DEGLI SCHIAVI

Nella seconda metà del 600 il Nordest del Brasile fu teatro di un importante movimento di rivolta degli schiavi, che fuggivano dalle coltivazioni di canna da zucchero per rifugiarsi in comunità agricole autogestite denominate Quilombos. Il più importante Quilombo fu il Quilombo dos Palmares, a circa 180 Km da Recife, guidato dallo schiavo fuggitivo Zumbì. I Quilombos erano considerati una grave minaccia alla sicurezza e all’economia della zona e furono duramente repressi da truppe di mercenari, tuttavia si hanno notizie di insediamenti che sono sopravvissuti nell’entroterra degli stati del Pernambuco e di Alagoas, e i cui abitanti si dichiarano orgogliosamente quilombolas.

Fino al tardo secolo XIX lo schiavo costituì il pilastro dell’economia e della società brasiliana; lo schiavismo era considerato nell’ordine naturale delle cose e senza di esso l’economia del paese non sarebbe sopravvissuta. Tuttavia la dipendenza dell’impero brasiliano dalla politica economica inglese fece sì che le lotte abolizioniste giungessero fino al Sudamerica, dove il Brasile fu l’ultimo paese ad abolire la schiavitù (1888). Una massa di neri senza casa, lavoro, istruzione né proprietà fu catapultata nel bel mezzo della società brasiliana, trasformandosi ben presto in manodopera a basso costo nelle stesse fattorie per le quali avevano lavorato fino a poco tempo prima come schiavi.

Per diminuire ulteriormente il costo del lavoro, in quello stesso periodo fu favorita l’immigrazione massiccia dall’Europa, soprattutto dall’Italia.



Emancipazione nazionale

Sebbene il contesto fin qui delineato sembri indicare una nuova dipendenza del Brasile dalle logiche e dagli attori dell’economia mondiale, non si può non ricordare il ruolo da esso svolto in occasione della conferenza intergovernativa dell’Organizzazione Mondiale del Commercio del 2003 (Cancùn). In tale circostanza infatti il Brasile si è posto a capo di un nutrito schieramento di Paesi in Via di Sviluppo, che hanno finalmente fatto sentire la propria voce ai “grandi” del mondo su ciò che significa per loro Globalizzazione.

Il Brasile è stato fra i principali promotori dei primi Forum Sociali Mondiali, ospitati nella capitale dello stato del Rio Grande do Sul, Porto Alegre (World Social Forum 2001, 2002 e 2003). Ricordiamo inoltre l’importante ruolo svolto, accanto al Sudafrica, nella lotta contro la tutela dei brevetti relativi ai medicinali anti-AIDS, con l’obiettivo di renderne accessibili i prezzi.

16 giugno 2006

Non solo agricoltura

Anche se la questione agraria costituisce uno dei caratteri più importanti del volto odierno del Brasile, occorre citare qualche altra informazione per fare luce su un quadro così complesso.

Dal punto di vista dell’economia, il Brasile è oggi il principale produttore mondiale di soia (anche transgenica) e, più in generale, il quarto maggior esportatore di beni alimentari al mondo (le colture principali dopo la soia sono canna da zucchero e caffè). E’un paese autosufficiente dal punto di vista energetico, date le riserve di petrolio. Il settore industriale più sviluppato è quello agroalimentare, ma sono presenti anche numerose industrie metalmeccaniche (soprattutto automobilistiche: FIAT, General Motors, Toyota, Renault, Wolksvagen….) ed elettroniche, queste ultime nella zona franca di Manaus, in Amazzonia.

Il Brasile è comunque importante nell’economia mondiale come riserva di manodopera a basso costo. Sono assai numerose le imprese multinazionali che hanno una loro sede qui (comprese Parmalat, Nestlé e altri colossi del mercato globale). Ora, è facile immaginare gli effetti che questo fatto può produrre sull’economia locale. Contro gli argomenti a favore, secondo cui queste imprese sarebbero delle benefattrici che creano posti di lavoro per la povera gente e aumentano la produzione finalizzata all’esportazione, si può citare il loro ruolo nel fallimento delle imprese locali incapaci di reggere a tale concorrenza, o ancora il fatto che dei guadagni realizzati poco o niente viene reinvestito in loco.

DIVAGAZIONI STORICHE: L'ECONOMIA COLONIALE

Se fino alla metà del ‘600 la produzione e l’esportazione della canna da zucchero costituiscono l’asse principale dell’economia della colonia, nella seconda metà del XVII secolo l’interesse si sposta verso l’oro e le pietre preziose. Per circa 200 anni l’attività mineraria diviene il vero fulcro dell’economia coloniale, sviluppandosi soprattutto nell’entroterra della regione del sud-est, denominata appunto delle Minas Gerais, le miniere generali. Al sovrano portoghese, che nel frattempo ha riacquistato la corona, spetta il 20% della produzione mineraria. Si racconta che l’evasione fiscale rappresentasse all’epoca circa il triplo del cosiddetto “quinto” inviato alla corona.

Ma già verso la fine del XVIII secolo lo sfruttamento delle miniere comincia ad entrare in crisi e ad essere soppiantato economicamente dalla produzione del caffè che, nella prima metà dell’800, si sviluppa soprattutto nella regione di Rio de Janeiro e più in generale nel sudest del paese. Se la crisi delle produzioni minerarie rallenta notevolmente il commercio internazionale degli schiavi, l’exploit della produzione di caffè vede la rinascita dello schiavismo.