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27 giugno 2010

E ora si discute sulle cause (ancora sulle inondazioni)

Prima di entrare nel merito del titolo, qualche aggiornamento sulla situazione. I morti sono arrivati al numero di 52; i dispersi sembrano ammontare a una cinquantina, e non a cinquecento come sembrava all'inizio. 
Situazione in Alagoas. Matriz de Camaragibe, malgrado rientri nel novero dei municipi in stato di emergenza, non si trova in situazione critica; sono state danneggiate alcune case, ne sono crollate un paio nei pressi del mercato (cioè costruite sulla sponda del fiume) ma niente a che vedere coi disastri del 1989 e del 2000. Situazione ben più che drammatica nel municipio di Branquinha dove, a quanto dicono gli amici contattati, gli unici edifici rimasti integri sono la chiesa e il centro comunitario (costruito dai salesiani nei primi anni '90). La sindaca ha proposto di ricostruire la città in un altro sito.
Situazione in Pernambuco. Danni gravissimi anche in numerosi municipi del Pernambuco. Il nuovo ponte sul torrente Una, inaugurato poco più di un anno fa nell'ambito delle opere di raddoppiamento dell'importante strada federale BR-101 e costruito secondo le più recenti tecniche di ingegneria civile e nel rispetto dei principi di impatto ambientale, è stato spazzato via dall'onda di piena come se si fosse trattato di un ponte di legno. Le macerie del ponte sono diventate una specie di attrazione turistica della città di Palmares. 
Il presidente Lula si è recato in visita ad alcune delle città colpite. Atterrato a Rio Largo (Alagoas, nei pressi dell'aeroporto internazionale di Maceió) ha rifiutato di compiere il percorso ufficiale che era stato preparato dallo staff e che prevedeva la visita a una diga sfondata e a un ponte crollato, per andare a visitare le città colpite e parlare con le persone.  I suoi sostenitori ne evidenziano l'umanità e il fatto di essere un presidente che mette i piedi nel fango, ricordando che in occasione dei nubifragi di São Paulo il candidato a presidente per l'opposizione, José Serra, è "fuggito" da Jardim Pantanal, il quartiere colpito. I suoi detrattori ne denunciano il populismo, ricordando (non senza qualche ragione) che siamo in piena campagna elettorale per le elezioni politiche e presidenziali.

Le cause. A quanto ho capito dalla lettura dei giornali, le piogge violente hanno flagellato le zone del Pernambuco in cui si trovano le sorgenti dei fiumi che, in preda alla piena, hanno spazzato via come uno tsunami i paesi che si trovano sulle loro sponde in Alagoas.
Da una parte, quindi, viene "incolpata" la natura che ha scaricato sulla regione, in un solo giorno, l'acqua che normalmente cade in un mese di stagione invernale (che in questa zona corrisponde a una vera e propria "stagione delle piogge"). Ma dall'altra parte non si può far finta che non ci siano anche delle responsabilità squisitamente politiche, come si diceva nel post di qualche giorno fa e nelle denunce della candidata alla presidenza, Marina Silva.
Copio e traduco da un articolo comparso sul sito di notizie "Ig Último Segundo": La verità è che mancano strutture e opere di prevenzione. Il presidente Luiz Inácio Lula d Silva, durante la visita alle regioni colpite, ha annunciato un finanziamento di 550 milioni di R$ (circa 250 milioni di Euro) per Alagoas e Pernambuco, ma i dati del Sistema Integrato dell'Amministrazione Finanziaria del Governo Federale (Siafi) raccolti dai consulenti tecnici del DEM (il Partito Democratico) mostrano che il governo federale ha speso solo lo 0,74% delle risorse di bilancio 2010 destinate "alla prevenzione e alla preparazione in caso di disastri naturali". Questa percentuale corrisponde a 3,2 milioni dei 442,5 inizialmente destinati. Il rimanente 99,62% rimane nelle casse federali. Lo stesso rilevamento mostra che il governo Lula ha speso 356,7 milioni di R$ in "risposta a disastri e distruzioni". E si tratta comunque di solo il 17,32% del preventivato.
Secondo la locale conferenza dei sindaci, il numero di municipi che nei primi sei mesi dell'anno hanno richiesto lo stato di emergenza ammonta a 1.635, contro i 1.389 dell'intero 2009. Limitatamente a questa catastrofe e ai soli stati di PE e AL i municipi sono oggi 58.
Eppure, sono più numerosi - circa il doppio - i casi di grave siccità che quelli di eccesso d'acqua, anche se questi ultimi hanno effetti molto più distruttivi.
E comunque, le catastrofi climatiche hanno moltissimo a che vedere con un'occupazione del suolo disordinata e non pianificata e ciò diventa particolarmente evidente nel caso di piogge devastanti e alluvioni.
Potete trovare altre notizie aggiornate, e soprattutto immagini, cliccando qui e anche qui.

(fonti: http://ultimosegundo.ig.com.br/ e http://osamigosdopresidentelula.blogspot.com/)

23 giugno 2010

Aggiornamenti sul nubifragio

Non ho ancora ricevuto notizie dai miei amici e mi riprometto di provare a telefonare questa sera, ma ho fatto un giro sui quotidiani locali e ho scoperto notizie tutt'altro che confortanti.
Nello stato del Pernambuco i municipi colpiti sono 54 (di cui 7 in stato di calamità e 29 in stato di emergenza) mentre nello stato di Alagoas sono 17 quelli in stato di emergenza o di calamità (ho trovato informazioni incongruenti, in un giornale si parla di 15 in stato di calamità, in un altro di 17 in stato di emergenza, ma la sostanza cambia di poco). Della lista fa parte anche Matriz de Camaragibe, dove ho vissuto per tre anni e mezzo e dove abita un numero imprecisato di amici e conoscenti, oltre alla mia "famiglia brasiliana".

Stando sempre alle notizie divulgate ieri sera dai giornali locali, nel solo stato di Alagoas ci sarebbero oltre 600 dispersi. I morti totali (in realtà, i corpi recuperati) ammontavano a 41, di cui 12 in Pernambuco e 29 in Alagoas, ma è evidente che questo tragico bilancio è destinato ad aumentare. 
Nel solo stato del Pernambuco si calcola che sono andati distrutti o fortemente danneggiati circa 1.500 Km di strade: sì, avete letto bene, 1.500 chilometri solo nello stato del Pernambuco. E 18 mila persone rimaste senza tetto. E altri 25 mila sfollati.

Il governo federale sta inviando aiuti alimentari e infrastrutturali attraverso l'aeronautica militare, ma i collegamenti sono interrotti in molte zone a causa della rottura dei ponti (69 solo in Pernambuco) e non dappertutto è possibile atterrare con aerei ed elicotteri di soccorso. Sono inoltre stati liberati 100 milioni di reais (circa 45 milioni di euro) che serviranno all'acquisto di acqua potabile e cibo e per il noleggio di macchinari (dalle macchine di movimento terra ad altre attrezzature utili a ripristinare uno stato mediamente accettabile delle cose).

La candidata alla presidenza della Repubblica per il Partito Verde, la ex-ministra dell'Ambiente Marina Silva, ha criticato fortemente la mancanza di preparazione da parte dei vari livelli di governo e i massicci investimenti in interventi di emergenza. In questi ultimi anni il Brasile avrebbe investito solo 130 milioni di R$ in interventi infrastrutturali a fronte di oltre un miliardo in emergenza. Non vi ricorda qualcosa, per esempio un piccolo paese europeo a forma di stivale proiettato nel Mar Mediterraneo?...
(Se avete voglia di vedere una galleria fotografica, cliccate qui.)

11 ottobre 2009

Il Brasile e i biocombustibili

Ieri pomeriggio ho partecipato, in veste di interprete, a un seminario sui biocarburanti a cui partecipava, fra gli altri, un esperto brasiliano, Gerlado Arcoverde. Arcoverde fa parte del coordinamento di un interessantissimo progetto finanziato dal governo italiano e promosso da un gruppo di organizzazioni fra cui il GVC di Bologna e la FETRAF (Federazione dei lavoratori in agricoltura familiare) dello stato del Minas Gerais.
Prima di parlare nello specifico della situazione brasiliana, è importante evidenziare un punto cruciale della questione, ben espresso dal titolo del seminario: "Biocarburanti o agrocarburanti? Una questione non solo di parole. Sostenibilità dei nuovi modelli energetici". Ogni volta che interpreto a un convegno, porto a casa almeno un'idea nuova, un pensiero su cui non mi ero mai soffermata prima, una nuova conoscenza che entra a far parte del mio bagaglio. Questa volta, per l'appunto, il fatto che la questione dei biocombustibili non è un problema che riguardi prima di tutto gli equilibri energetici, bensì i modelli di agricoltura attualmente vigenti nel mondo. Purtroppo ci vorrebbe troppo tempo per sviscerare il tema in questa sede, ma si tratta veramente di un concetto cruciale a cui anche noi europei dovremmo iniziare a pensare, soprattutto in considerazione del fatto che la nostra agricoltura è in crisi ormai da decenni.
Per quanto riguarda il Brasile, è fuori discussione che oggi sia uno dei principali produttori di biocombustibili al mondo; già dagli anni '70, ai tempi del famoso piano pro-alcol che vide comparire sulla scena mondiale le prime automobili mosse a etanolo, ricopre un ruolo di protagonista. Dopo una forte crisi del settore negli anni '80, oggi ha ripreso alla grande la produzione ed esportazione di etanolo per autotrazione; i motori cosiddetti "flexi", cioè a doppia alimentazione benzina/alcol, rappresentano attualmente il 92% delle nuove immatricolazioni nel paese.
Ma la produzione di etanolo è una produzione su scala industriale che dipende in buona parte degli immensi latifondi di canna da zucchero presenti soprattutto nello stato di São Paulo e nel Nordest, nella regione degli stati del Pernambuco e di Alagoas. Le condizioni dei lavoratori della canna sono fra le peggiori al mondo in termini salariali e di salubrità del lavoro, soprattutto nello sfruttatissimo e poverissimo Nordest. Inoltre, date le dimensioni dei latifondi e la disponibilità di terre disponibili, non è pensabile che il Brasile possa incrementare oltre il 50% la sua produzione di etanolo da autotrazione senza conseguenze sulla sicurezza alimentare.
La grande novità, pertanto, giunge dal biodiesel, cioè dagli olii prodotti a partire dai semi di alcune piante. Il progetto presentato da Arcoverde riguarda 3000 famiglie di agricoltori dello stato del Minas Gerais che coltiveranno piante oleaginose a questo scopo, e contemporaneamente riserveranno il 50% dei loro terreni alla coltivazione di prodotti per l'alimentazione umana. La trasformazione delle sementi in olii sarà realizzata in loco tramite un processo produttivo che recupera anche gusci e altri cascami in generale, al fine di produrre energia per alimentare l'impianto (garantendo così, anche se parzialmente, la sostenibilità energetica della struttura), fertilizzanti naturali per riporre carbonio e altre sostanze nel terreno coltivato, infine materia prima (fibre e truciolati) per la produzione di artigianato. Allo scopo di incrementare la produzione, saranno stipulate convenzioni col governo dello Stato del Minas Gerais per il recupero, a titolo di comodato gratuito, di alcune terre degradate e attualmente non utilizzate. Si tratta insomma di un progetto pilota per una nuova agricoltura familiare, sostenibile, che garantisca al tempo stesso la sicurezza alimentare della comunità in esso coinvolta, ma anche la partecipazione a processi produttivi decisamente innovativi e sostenibili dal punto di vista ambientale ed energetico.
Vale la pena di ricordare che il governo Lula ha emesso una legge che vincola la società nazionale che gestirà la produzione di biodiesel ad acquistare almeno il 30% della materia prima dai piccoli produttori familiari. Un'azione concreta del governo in favore di quel nuovo modello di agricoltura di cui parlavamo poc'anzi.
Penso di essere andata fin troppo per le lunghe con questo post, ma l'argomento è importante.
Se qualcuno fosse interessato ad approfondire, può andare a leggere questo articolo sul sito gestito dal Consolato del Brasile a Milano, oppure quest'altro articolo che approfondisce il discorso sul nuovo modello di agricoltura alla base del progetto del GVC.

27 febbraio 2009

World Social Forum (Belém, gennaio 2009)

Segnalo alcune interessanti riflessioni sgorgate dall'esperienza del Forum Social Mundial realizzato a Belém, in Brasile, nel gennaio scorso. Il testo è tratto dal sito della Rete Radié Resch di Quarrata (PT) ed è firmato da padre Daniele Moschetti, missionario comboniano.


Ma dov'era l'Africa al Social Forum Mondiale?

A Belem ci si aspettava tanta gente e questo è avvenuto. Di solito un forum mondiale organizzato in Brasile non lascia mai gli organizzatori insoddisfatti.
E infatti nelle registrazioni via internet e manuali fatte nei mesi e giorni precedenti l’evento, circa 150 Stati di tutto il mondo della società civile avevano aderito a questa 9° edizione del forum sociale mondiale di Belem. Più di 2400 eventi e incontri a tema organizzati dalle 5176 associazioni e organizzazioni di tutto il mondo registrate. Il tutto in 4 giorni includendo anche la marcia d’apertura sotto una pioggia martellante del primo e anche dell’ultimo giorno. Insomma il forum è terminato come era iniziato. Sotto la pioggia torrenziale.
D’altronde come durante tutto l’arco di questo tour de force: kilometri percorsi a piedi sotto il sole o la pioggia. Dipendeva dai gusti. L’acqua della pioggia che ci ha ricondotto alla foresta Amazonica ma anche all’ecologia e alla biodiversità. A tanti altri temi locali e mondiali che si sono susseguiti come ogni social forum mondiale. L’ecologia però rappresentava la novità un po’ speciale di questo forum proprio per il luogo dove si svolgeva: la Regione Amazzonica.

Da Nairobi a Belem…

E’ stato il mio terzo social forum mondiale. Il primo a Porto Alegre sempre in Brasile nel 2005 è stato sicuramente molto più internazionale di quello vissuto qui a Belem. In Africa, a Nairobi nel 2007, in mezzo a quelle 50.000 persone presenti una buona parte era da vari paesi. Nonostante le grandi difficoltà organizzative e di etica da parte degli organizzatori il forum africano aveva avuto un impatto molto più internazionale di questo ultimo.
A parte il primo giorno del forum con la giornata Pan-Amazonica, la centralità della giornata è stata sulla realtà della foresta Amazonica per celebrare i 500 anni di resistenza; conquista e prospettive afro-indigene e popolari; della distruzione dell’ecosistema e del lavoro schiavo. Non c’è mai stato un grande interesse mediatico internazionale, italiano e neanche locale, se non per qualche televisione locale. Così come mi confermavano amici brasiliani con i quali avevo condiviso nei giorni successivi le mie impressioni. E questa è una delle sfide di fronte al movimento internazionale.
Davvero questo movimento diventa sempre più internazionale? Oppure è sempre più Latino Americano o meglio Brasiliano? Qualche dato per essere più chiari.
Negli ultimi 7 forum sociali mondiali: 5 sono stati organizzati in Brasile (4 a Porto Alegre e 1 a Belem), 1 a Mumbai (India – Asia), 1 a Nairobi (Kenya – Africa). C’è uno squilibro di 5 a 1 a 1 che ci deve far riflettere se vogliamo far crescere il movimento soprattutto in continenti come l’Africa o Asia, dove la dimensione sociale, politica, democratica e di liberazione è ancora scarsa, debole e di nicchia.
In questo forum di Belem i partecipanti alla fine saranno stati circa 120-130.000 sparse nelle due aree delle Università Federale e Rurale distanti tra loro di qualche kilometro. Almeno il 90% di queste persone erano brasiliane e circa il 70% dello Stato del Parà. Dovunque andavi gli incontri erano quasi esclusivamente in portoghese e quei pochi meetings dove c’era più internazionalità i brasiliani erano pochi. Molti incontri erano su tematiche molto locali e con poco respiro internazionale. Insomma sembrava di essere al Social Forum del Brasile con alcune migliaia di partecipanti da altre parti del mondo (circa 10.000 compreso l’America Latina).

“Essere di parte”

Il rischio di chi sta nel comitato internazionale del movimento è di “essere di parte”. Anche se non viene mai ammesso ufficialmente. I dati credo parlino da sé, se vogliamo leggerli in trasparenza, prospettiva e in continuità.
Non possiamo rafforzare movimenti e dinamiche solo in una parte del mondo a discapito di altre che sentono fortemente affossate le loro istanze di cambiamento per un nuovo mondo possibile che si costruisce insieme a tutte le forze mondiali. Per esempio il continente Africano: sicuramente il più abbandonato e dimenticato da tutti. Anche dal movimento sociale mondiale? Non basta un social forum organizzato in Africa e lasciato nelle mani di poche ONGs (organismi non governativi) e un gruppetto di persone che se ne fanno un baffo di etica sociale e morale, che non sono “preparate ad affrontare pubblicamente nel loro paese e continente” la lotta al neoliberismo e capitalismo. Che mancano di prospettiva futura per costruire un movimento e networks per un miglior futuro del paese, dell’Africa e di conseguenza del mondo. Ci vuole più saggezza e capacità di lettura storica, politica, sociale, culturale e anche religiosa per chi dà responsabilità così importanti e delicate. Se si vuol credere davvero che un mondo diverso è possibile bisogna coinvolgere tutte le realtà storiche, sociali, politiche e religiose presenti in ogni continente, specialmente quello Africano.
A Belem le chiese e altre religioni erano presenti nella tenda ecumenica e interreligiosa ma con poca forza propositiva e sinergia. Anche queste chiese e movimenti religiosi sono presenti in tutto il mondo e debbono essere parte integranti e ulteriore forza di un movimento sociale che è ampio, diverso, politico, internazionale e plurale. La forza d’impatto che hanno le religioni nel mondo nella lotta per l’affermazione della giustizia e dignità, dei diritti umani, della democrazia è enorme e incalcolabile. Un esempio fra i tanti può essere il ruolo del Dalai Lama e dei suoi monaci nel Tibet negli ultimi anni. D’altronde il forum di Nairobi nel 2007 lo aveva dimostrato ampiamente. Non possiamo non riconoscere il grande merito e forza che le chiese cristiane e altre religioni hanno portato nel primo forum africano. Senza di esse sarebbe stato davvero un
fallimento. Quindi anche questa è una delle sfide per il comitato internazionale e per il movimento sociale mondiale. Entrare in ascolto dei segni dei tempi che premono, della volontà di parlare una “lingua comune” e allo stesso tempo rispettosa delle diversità delle lotte che si portano avanti in varie parti del mondo. Non si è in contrapposizione o in competitività ma in sinergia per credere davvero “another world is possible even in Africa”! “Un altro mondo è possibile” d’altronde se ha anche all’interno una spiritualità incarnata nei vari contesti per un vero cambiamento sociale, politico, economico ed ecologico.

Ma dove va il Social Forum?

Ho partecipato a vari seminari, workshops ed eventi organizzati. Uno in particolare mi ha colpito perché aveva una connotazione piuttosto internazionale dove stranamente si parlava in inglese, lingua franca fra i partecipanti. Molte persone e da diversi continenti ma pochi brasiliani. Il titolo era: Il futuro del forum sociale mondiale. Tra una decina di relatori, personaggi come Walden Bello, Chico Whiteker, Francois Houtart (tra i fondatori del movimento sociale mondiale) e tanti altri. Tutti rappresentavano vari continenti ma anche il Comitato Internazionale organizzativo dei forum sociali. Colpiva la mancanza di rappresentanti del continente africano sia tra i relatori che dal Comitato Internazionale. Tra il pubblico solo un paio di persone africane. Credo che alla fine del forum abbiamo potuto vedere e identificare pochi partecipanti dall’Africa.
Più o meno una cinquantina di persone in tutto. Ci si aspettava che dall’Africa ci fosse più partecipazione proprio perché l’edizione precedente è stata celebrata proprio là in Kenya, in Africa.
Probabilmente la crisi finanziaria sta già facendo sentire i suoi effetti anche alle organizzazioni che di solito mandavano rappresentanti dalle varie nazioni africane a parteciparvi per poi essere agenti di diffusione del messaggio e dell’evento. Una mancanza evidente anche e soprattutto per quegli importanti networks che i forums danno l’opportunità di creare e che vanno ben oltre i pochi giorni della manifestazione. Forse anche poca attenzione alle positività che può offrire la partecipazione a questi eventi mondiali per uscire fuori dal proprio nazionalismo, isolamento e attaccamento al proprio orticello.
È una grande sfida quella dell’Africa sociale, politica e religiosa che abbiamo soltanto sfiorato con il primo forum mondiale. Abbiamo bisogno di dare tempo, energie, creatività e incoraggiamento al continente nero.
Dobbiamo crederci. Il rigenerare l’Africa con l’Africa stessa passa anche attraverso il movimento mondiale che ora deve fare sempre più passi verso questo continente ancora in difficoltà.
Far emergere dovunque la società civile che insieme alle chiese e alle religioni presenti in questo stupendo continente possono davvero ridonarle vita, giustizia, pace e solidarietà. Una politica ed economia nuova e attenta alle classi povere ed emarginate richiede anche una educazione e preparazione etica, umana e religiosa della società che non si può prendere a prestito da altri continenti in questo contesto storico così di basso livello mondiale.
Ma bisogna provarci e con grande pazienza dar credito ad un continente dimenticato come l’Africa. Con creatività e semplicità può uscire una forza nuova e un nuovo modo di concepire la vita,le relazioni e il futuro per il mondo intero. C’è bisogno di tante convergenze per riuscirci e il movimento mondiale sociale è uno dei veicoli importanti per poterla far emergere.
Si diceva che molto probabilmente il prossimo forum sociale mondiale del 2011 sarà ancora in Africa!! Sarà vero?? Saremo pronti ad affrontare di nuovo questo importante evento per la società civile mondiale e continentale? Speriamo…intanto prepariamoci! Nel frattempo nel continente stanno facendo le prove generali per i Mondiali di Calcio del 2010 in Sudafrica. Tutt’un’altra cosa…proprio nella logica capitalista…! Ma pur sempre un’affermative action per questo continente sempre ai confini della storia mondiale.

14 maggio 2008

E Marina se ne va


Una delle più illustri rappresentanti del governo Lula, la Ministra dell'Ambiente Marina Silva, ha presentato ieri le sue dimissioni.
Le motivazioni ufficiali non sono ancora state divulgate, ma da molti mesi (anni?) Marina Silva era diventata una voce che grida nel deserto, in aperto conflitto con i colleghi ministri più preoccupati degli aspetti economici e di mercato che di un'effettiva tutela dell'ambiente.
Marina ha 50 anni e le sue origini sono umili: è nata in una famiglia di "seringueiros", i lavoratori che estraggono il caucciù dall'albero della gomma, nell'interno dello stato amazzonico dell'Acre. Ha conosciuto e collaborato strettamente con Chico Mendes quando, negli anni 80, era una giovane militante del PT e della CUT (la confederazione sindacale legata al PT).
Nel 1994 è stata eletta senatrice per lo stato dell'Acre e nel 2003 è stata chiamata da Lula al Ministero dell'Ambiente, dove è rimasta per una legislatura e mezza, fino a ieri.
Appena avrò accesso a informazioni più precise (e più "critiche") rispetto a quelle riportate dai grandi media nazionali proverò a scrivere qualcosa di più.
Certo, dispiace e scoraggia vedere uno dei migliori elementi dell'attuale governo gettare la spugna davanti alla difficoltà di far rispettare principi di fondo e priorità politiche come quella della tutela dell'ambiente, elemento cruciale dello sviluppo del Brasile.

Di questi tempi, verrebbe quasi da commentare che tutto il mondo è paese...

16 gennaio 2008

Luar do sertão

Ed eccomi qui, in pieno sertão della Bahia, dove il cellulare non prende e le strade asfaltate sono una rarità, ma dove il cielo notturno è molto più blu, si vedono tutte le stelle dell'emisfero sud e la luce della luna è suggestiva come in nessun altro luogo al mondo.
Mi trovo in una piccola città che si chiama Presidente Jânio Quadros (nome conferito in onore dell'allora presidente della Repubblica, che aveva promesso alla città finanziamenti per il suo sviluppo), ospite della comunità dei padri rogazionisti, padre Toninho e padre Jota.
Sono qui per definire gli ultimi dettagli di un progetto di scuola familiare agricola destinata ai giovani e alle ragazze della zona rurale. Lo scopo è fornire loro una formazione scolastica medio superiore in agricoltura, in modo da favorire il miglioramento delle coltivazioni di sussistenza a cui si dedica la maggioranza dei piccoli proprietari, impiantare nuove colture destinate anche alla vendita, riscattare i valori e le tradizioni della cultura popolare, favorire lo sviluppo di un'agricoltura ecosostenibile.
Si tratta di un progetto ambizioso, il cui scopo principale è proprio la riduzione dell'esodo dalle campagne verso le grandi città, fenomeno che flagella il Brasile da diversi decenni e che ha portato la popolazione urbana a raggiungere l'80% della popolazione totale del paese, relegando alla zona rurale uno scarno 20% degli abitanti. Considerata l'estensione del paese e la disponibilità (almeno teorica) di terre coltivabili, va da sé che lo sforzo di aiutare le nuove generazioni a non abbandonare le aree rurali ma anzi a valorizzarle è assolutamente meritorio.
L'elaborazione del progetto presenta alcune difficoltà ma stiamo cercando di risolverle.
La comunità locale mi ha accolta con simpatia e affetto e questa immersione totale in una realtà completamente diversa da quelle che conoscevo in precedenza si sta rivelando un'esperienza molto interessante.
Ora vi saluto perché abbiamo una riunione fra 10 minuti e la connessione internet non è delle più veloci.
Rimanete connessi!

13 gennaio 2008

Pioggia, viaggi e progetti

Quasi a volersi adattare al mio umore, che oggi non è esattamente dei più brillanti, oggi il cielo mi ha regalato una mattinata piovosa. Anziché in spiaggia, sono andata a fare un po' di acquisti per il mio ritorno in Italia la prossima settimana, così sabato e domenica potrò godermi il mare, tempo permettendo (e anche lunedì 21 al mattino, visto che il mio volo per Lisbona decolla in serata).

Domani alle 5 del mattino imbarco alla volta di Salvador de Bahia, e di lì per Vitória da Conquista; a Vitória mi aspetterà padre Jota, rogazionista, che mi accompagnerà in una piccola città del sertão bahiano che si chiama Presidente Jânio Quadros.
Amici dei Popoli sta appoggiando l'idea di un progetto di Escola-Família Agrícola in quella località, e io andrò a definire gli ultimi dettagli in modo da poter quanto prima presentare la richiesta di finanziamento all'Unione Europea o a qualche altro soggetto preposto all'uopo.
La finalità del progetto è offrire ai giovani della regione una possibilità di formazione medio-superiore in agricoltura di modo che, anziché emigrare verso le grandi città, rimangano in loco e migliorino la produzione agricola locale, con particolare attenzione alle coltivazioni ecosostenibili.
Non so se avrò la possibilità di connettermi da laggiù, ma sono sicura che al mio ritorno avrò molte cose da raccontarvi su una realtà tanto diversa da quella che ho conosciuto in questi anni e in cui ho lavorato.
Rimanete connessi.

18 dicembre 2007

"Uma vida pela vida"

Mi associo all'amico Pippo P. che nel suo blog (Il Migratore Clandestino, vedi link qui accanto) segnala lo sciopero della fame di Dom Luiz Flávio Cappio, vescovo francescano di Barra (Bahia), in protesta contro il progetto di deviazione delle acque del "Grande Chico", il Rio São Francisco.
Non è la prima volta che Dom Luiz fa lo sciopero della fame. In precedenza ne aveva sospeso un altro, quando il governo federale aveva garantito l'avvio del dialogo con le popolazioni locali del semiarido (sertão) contrarie alla mastodontica opera. Purtroppo però, anziché dialogare, il presidente Lula ha mandato l'esercito che ha dato il via ai lavori di scavo. Secondo Dom Luiz e numerosi altri movimenti che appoggiano la sua protesta tale opera favorirà l'irrigazione dei latifondi ma non sposterà di una virgola i problemi idrici dei piccoli proprietari, che continueranno a essere condannati dalla siccità che affligge la regione.
È inevitabile restare sgomenti: alcuni anni fa, all'inizio del suo primo mandato, Lula aveva affermato pubblicamente che alla siccità del sertão non andava fatta la guerra, ma che si trattava di trovare le forme migliori per conviverci in modo produttivo. Un po' come voler lottare contro il ghiaccio in Alaska, insomma: si tratta di un fattore climatico a cui l'uomo deve adattarsi con risorse intelligenti e a basso impatto ambientale (in questa direzione si muovono, per esempio) i progetti di scavo di piccoli pozzi per la raccolta delle acque sotterranee e di costruzione di cisterne in vetroresina per la raccolta delle acque piovane nei periodi in cui sono presenti precipitazioni).
Se volete saperne di più sullo sciopero della fame di Dom Luiz, sul sito di "Uma vida pela vida" (http://www.umavidapelavida.com.br/default.asp) troverete anche un po' di documentazione in italiano (mi dispiace avere poco tempo in questo momento, altrimenti avrei collaborato con Dom Luiz correggendo le traduzioni... ma sono comunque leggibili).
Ancora grazie a Pippo per la segnalazione.

11 agosto 2007

Biocarburanti? mah...

Di questi tempi si fa un gran parlare del bioetanolo, l'alcol per autotrazione. In Brasile le automobili ad alcol esistono dagli anni '70, quando il governo di allora (erano i tempi della dittatura militare, gli anni più feroci) lanciò il programma pro-alcol in risposta alla crisi petrolifera.
Personalmente trovo assai discutibile l'uso dei biocarburanti, nonostante siano molto meno inquinanti rispetto ai carburanti tradizionali. Il fatto è che l'idea di "ecologicamente corretto" non può limitarsi alle emissioni di CO2 e/o di particolati vari.
Difendere la "casa" (oikos, da cui il prefisso eco-, che significa proprio casa) significa non solo proteggerne i muri (l'ambiente) ma anche gli abitanti. Per produrre una quantità di biocarburante sufficiente a fare il pieno a un'automobile di media cilindrata ci vuole all'incirca la stessa quantità di terra necessaria a coltivare il nutrimento di un essere umano per un anno...
Ora, nel caso del Brasile è evidente che ci sarebbe terra per l'una cosa e per l'altra (a condizione che si realizzi la riforma agraria, ma questa è un'altra storia), ma secondo me entrano in ballo considerazioni di tipo etico.
A livello globale, non possiamo far finta che, siccome noi abbiamo degli eccessi di produzione agricola e in nome del mercato dobbiamo distruggere interi raccolti, allora il problema della terra e del nutrimento degli esseri umani non esiste.
Nel caso del Brasile, poi, c'è un'aggravante: la coltivazione della canna da zucchero implica un lavoro di tipo semi-schiavista. Nel Nordest, i tagliatori di canna ricevono salari da fame a fronte di un lavoro massacrante; si tratta di un lavoro stagionale, quindi nei periodi fra un raccolto e l'altro (entresafra) o non si lavora, oppure si è costretti a emigrare verso zone con altri climi, dove il periodo del taglio è invertito rispetto al Nordest. E non è che nel Mato Grosso o a San Paolo il salario dei braccianti sia tanto più consistente che nel Nordest.
In pratica, il basso costo del bioalcol è anche il prodotto dello sfruttamento del lavoro umano.
Subito dopo Ferragosto, come promesso, inserirò nel blog la lettera di Julio Monteiro Martins su Lula, e anche lì troverete considerazioni interessanti sulla questione del biocarburante.
Nel frattempo proviamo a riflettere su queste cose in modo un po' più approfondito e, perché no, più etico...
Rimanete connessi.

21 giugno 2007

Il Brasile a Superquark: natura e petrolio

La settimana scorsa, nell'ambito del documentario "Pianeta Terra" della BBC, sono state mostrate alcune bellezze naturali del Brasile, in particolare le spettacolari cascate di Foz do Iguaçu e il bacino del Rio delle Amazzoni (a proposito, avete visto sui giornali dei giorni scorsi la notizia delle nuove misurazioni, secondo le quali il Rio Amazonas sarebbe più lungo del Nilo?).
Ieri sera invece è stato presentato un interessante servizio sulle piattaforme petrolifere. Il Brasile è infatti all'avanguardia per ciò che riguarda le perspezioni, le trivellazioni e l'estrazione del petrolio dai giacimenti sottomarini. Il servizio ha presentato in modo sintetico ma chiaro il funzionamento di queste piattaforme, basato su una tecnologia di punta gestita interamente da brasiliani. Grazie a questa attività, il paese è praticamente autosufficiente dal punto di vista dell'oro nero.
Un unico appunto a Superquark: la compagnia a partecipazione statale leader nel mondo per la produzione di petrolio in acque profonde si chiama Petrobras ma si pronuncia Petrobrás e non "Petròbras" come ha continuato a ripetere lo speaker italiano.
Per chi volesse saperne di più:
http://it.wikipedia.org/wiki/Petrobras (in italiano) oppure:
http://www2.petrobras.com.br/portugues/index.asp (in portoghese, inglese e spagnolo).