27 febbraio 2009

World Social Forum (Belém, gennaio 2009)

Segnalo alcune interessanti riflessioni sgorgate dall'esperienza del Forum Social Mundial realizzato a Belém, in Brasile, nel gennaio scorso. Il testo è tratto dal sito della Rete Radié Resch di Quarrata (PT) ed è firmato da padre Daniele Moschetti, missionario comboniano.


Ma dov'era l'Africa al Social Forum Mondiale?

A Belem ci si aspettava tanta gente e questo è avvenuto. Di solito un forum mondiale organizzato in Brasile non lascia mai gli organizzatori insoddisfatti.
E infatti nelle registrazioni via internet e manuali fatte nei mesi e giorni precedenti l’evento, circa 150 Stati di tutto il mondo della società civile avevano aderito a questa 9° edizione del forum sociale mondiale di Belem. Più di 2400 eventi e incontri a tema organizzati dalle 5176 associazioni e organizzazioni di tutto il mondo registrate. Il tutto in 4 giorni includendo anche la marcia d’apertura sotto una pioggia martellante del primo e anche dell’ultimo giorno. Insomma il forum è terminato come era iniziato. Sotto la pioggia torrenziale.
D’altronde come durante tutto l’arco di questo tour de force: kilometri percorsi a piedi sotto il sole o la pioggia. Dipendeva dai gusti. L’acqua della pioggia che ci ha ricondotto alla foresta Amazonica ma anche all’ecologia e alla biodiversità. A tanti altri temi locali e mondiali che si sono susseguiti come ogni social forum mondiale. L’ecologia però rappresentava la novità un po’ speciale di questo forum proprio per il luogo dove si svolgeva: la Regione Amazzonica.

Da Nairobi a Belem…

E’ stato il mio terzo social forum mondiale. Il primo a Porto Alegre sempre in Brasile nel 2005 è stato sicuramente molto più internazionale di quello vissuto qui a Belem. In Africa, a Nairobi nel 2007, in mezzo a quelle 50.000 persone presenti una buona parte era da vari paesi. Nonostante le grandi difficoltà organizzative e di etica da parte degli organizzatori il forum africano aveva avuto un impatto molto più internazionale di questo ultimo.
A parte il primo giorno del forum con la giornata Pan-Amazonica, la centralità della giornata è stata sulla realtà della foresta Amazonica per celebrare i 500 anni di resistenza; conquista e prospettive afro-indigene e popolari; della distruzione dell’ecosistema e del lavoro schiavo. Non c’è mai stato un grande interesse mediatico internazionale, italiano e neanche locale, se non per qualche televisione locale. Così come mi confermavano amici brasiliani con i quali avevo condiviso nei giorni successivi le mie impressioni. E questa è una delle sfide di fronte al movimento internazionale.
Davvero questo movimento diventa sempre più internazionale? Oppure è sempre più Latino Americano o meglio Brasiliano? Qualche dato per essere più chiari.
Negli ultimi 7 forum sociali mondiali: 5 sono stati organizzati in Brasile (4 a Porto Alegre e 1 a Belem), 1 a Mumbai (India – Asia), 1 a Nairobi (Kenya – Africa). C’è uno squilibro di 5 a 1 a 1 che ci deve far riflettere se vogliamo far crescere il movimento soprattutto in continenti come l’Africa o Asia, dove la dimensione sociale, politica, democratica e di liberazione è ancora scarsa, debole e di nicchia.
In questo forum di Belem i partecipanti alla fine saranno stati circa 120-130.000 sparse nelle due aree delle Università Federale e Rurale distanti tra loro di qualche kilometro. Almeno il 90% di queste persone erano brasiliane e circa il 70% dello Stato del Parà. Dovunque andavi gli incontri erano quasi esclusivamente in portoghese e quei pochi meetings dove c’era più internazionalità i brasiliani erano pochi. Molti incontri erano su tematiche molto locali e con poco respiro internazionale. Insomma sembrava di essere al Social Forum del Brasile con alcune migliaia di partecipanti da altre parti del mondo (circa 10.000 compreso l’America Latina).

“Essere di parte”

Il rischio di chi sta nel comitato internazionale del movimento è di “essere di parte”. Anche se non viene mai ammesso ufficialmente. I dati credo parlino da sé, se vogliamo leggerli in trasparenza, prospettiva e in continuità.
Non possiamo rafforzare movimenti e dinamiche solo in una parte del mondo a discapito di altre che sentono fortemente affossate le loro istanze di cambiamento per un nuovo mondo possibile che si costruisce insieme a tutte le forze mondiali. Per esempio il continente Africano: sicuramente il più abbandonato e dimenticato da tutti. Anche dal movimento sociale mondiale? Non basta un social forum organizzato in Africa e lasciato nelle mani di poche ONGs (organismi non governativi) e un gruppetto di persone che se ne fanno un baffo di etica sociale e morale, che non sono “preparate ad affrontare pubblicamente nel loro paese e continente” la lotta al neoliberismo e capitalismo. Che mancano di prospettiva futura per costruire un movimento e networks per un miglior futuro del paese, dell’Africa e di conseguenza del mondo. Ci vuole più saggezza e capacità di lettura storica, politica, sociale, culturale e anche religiosa per chi dà responsabilità così importanti e delicate. Se si vuol credere davvero che un mondo diverso è possibile bisogna coinvolgere tutte le realtà storiche, sociali, politiche e religiose presenti in ogni continente, specialmente quello Africano.
A Belem le chiese e altre religioni erano presenti nella tenda ecumenica e interreligiosa ma con poca forza propositiva e sinergia. Anche queste chiese e movimenti religiosi sono presenti in tutto il mondo e debbono essere parte integranti e ulteriore forza di un movimento sociale che è ampio, diverso, politico, internazionale e plurale. La forza d’impatto che hanno le religioni nel mondo nella lotta per l’affermazione della giustizia e dignità, dei diritti umani, della democrazia è enorme e incalcolabile. Un esempio fra i tanti può essere il ruolo del Dalai Lama e dei suoi monaci nel Tibet negli ultimi anni. D’altronde il forum di Nairobi nel 2007 lo aveva dimostrato ampiamente. Non possiamo non riconoscere il grande merito e forza che le chiese cristiane e altre religioni hanno portato nel primo forum africano. Senza di esse sarebbe stato davvero un
fallimento. Quindi anche questa è una delle sfide per il comitato internazionale e per il movimento sociale mondiale. Entrare in ascolto dei segni dei tempi che premono, della volontà di parlare una “lingua comune” e allo stesso tempo rispettosa delle diversità delle lotte che si portano avanti in varie parti del mondo. Non si è in contrapposizione o in competitività ma in sinergia per credere davvero “another world is possible even in Africa”! “Un altro mondo è possibile” d’altronde se ha anche all’interno una spiritualità incarnata nei vari contesti per un vero cambiamento sociale, politico, economico ed ecologico.

Ma dove va il Social Forum?

Ho partecipato a vari seminari, workshops ed eventi organizzati. Uno in particolare mi ha colpito perché aveva una connotazione piuttosto internazionale dove stranamente si parlava in inglese, lingua franca fra i partecipanti. Molte persone e da diversi continenti ma pochi brasiliani. Il titolo era: Il futuro del forum sociale mondiale. Tra una decina di relatori, personaggi come Walden Bello, Chico Whiteker, Francois Houtart (tra i fondatori del movimento sociale mondiale) e tanti altri. Tutti rappresentavano vari continenti ma anche il Comitato Internazionale organizzativo dei forum sociali. Colpiva la mancanza di rappresentanti del continente africano sia tra i relatori che dal Comitato Internazionale. Tra il pubblico solo un paio di persone africane. Credo che alla fine del forum abbiamo potuto vedere e identificare pochi partecipanti dall’Africa.
Più o meno una cinquantina di persone in tutto. Ci si aspettava che dall’Africa ci fosse più partecipazione proprio perché l’edizione precedente è stata celebrata proprio là in Kenya, in Africa.
Probabilmente la crisi finanziaria sta già facendo sentire i suoi effetti anche alle organizzazioni che di solito mandavano rappresentanti dalle varie nazioni africane a parteciparvi per poi essere agenti di diffusione del messaggio e dell’evento. Una mancanza evidente anche e soprattutto per quegli importanti networks che i forums danno l’opportunità di creare e che vanno ben oltre i pochi giorni della manifestazione. Forse anche poca attenzione alle positività che può offrire la partecipazione a questi eventi mondiali per uscire fuori dal proprio nazionalismo, isolamento e attaccamento al proprio orticello.
È una grande sfida quella dell’Africa sociale, politica e religiosa che abbiamo soltanto sfiorato con il primo forum mondiale. Abbiamo bisogno di dare tempo, energie, creatività e incoraggiamento al continente nero.
Dobbiamo crederci. Il rigenerare l’Africa con l’Africa stessa passa anche attraverso il movimento mondiale che ora deve fare sempre più passi verso questo continente ancora in difficoltà.
Far emergere dovunque la società civile che insieme alle chiese e alle religioni presenti in questo stupendo continente possono davvero ridonarle vita, giustizia, pace e solidarietà. Una politica ed economia nuova e attenta alle classi povere ed emarginate richiede anche una educazione e preparazione etica, umana e religiosa della società che non si può prendere a prestito da altri continenti in questo contesto storico così di basso livello mondiale.
Ma bisogna provarci e con grande pazienza dar credito ad un continente dimenticato come l’Africa. Con creatività e semplicità può uscire una forza nuova e un nuovo modo di concepire la vita,le relazioni e il futuro per il mondo intero. C’è bisogno di tante convergenze per riuscirci e il movimento mondiale sociale è uno dei veicoli importanti per poterla far emergere.
Si diceva che molto probabilmente il prossimo forum sociale mondiale del 2011 sarà ancora in Africa!! Sarà vero?? Saremo pronti ad affrontare di nuovo questo importante evento per la società civile mondiale e continentale? Speriamo…intanto prepariamoci! Nel frattempo nel continente stanno facendo le prove generali per i Mondiali di Calcio del 2010 in Sudafrica. Tutt’un’altra cosa…proprio nella logica capitalista…! Ma pur sempre un’affermative action per questo continente sempre ai confini della storia mondiale.

18 febbraio 2009

Terra Nostra è finito...

... e quindi anche le visite al mio blog, che durante la programmazione della telenovela ha raggiunto picchi di 184 presenze al giorno, crolleranno drasticamente.
Diciamocelo: alla fine era diventato una brodaglia allungata insopportabile. I personaggi centrali, che dovevano essere Matteo e Giuliana, sono diventati odiosi già nelle prime puntate. Insomma, più si andava avanti e più diventava una pizza.
Salverei il mai abbastanza compianto Raul Cortez (il signor Francesco Magliano) e alcuni personaggi-satellite particolarmente ben riusciti: il cocchiere Damião, la governante Mariana, il prode Antenor (l'attore, Jackson Antunes, mi piace moltissimo; e poi il suo personaggio portava il nome di mio padre...) e Bartolomeo (Antonio Calloni, che fino a quel momento aveva recitato quasi esclusivamente in teatro). Menzione speciale a Maria Fernanda Candido (la pastaia Paola) che prima di questa telenovela era completamente sconosciuta e che secondo molti assomiglia vagamente a Sofia Loren.
Ora RaiTre ha deciso di ritrasmettere le prime puntate per chi le aveva perse. Se non ho interpretato male i dati auditel, la terza replica della novela è stata seguita da circa un milione e mezzo di telespettatori: considerando la fascia oraria e la rete, un risultato strepitoso e sicuramente inaspettato anche per chi ha organizzato i palinsesti della rete (sarà per questo che un prodotto "vecchio" le cui prime puntate erano state mandate in onda in pieno periodo estivo viene ora riproposto in pompa magna senza soluzione di continuità?).
Amici che siete venuti a trovarmi su questo blog, spero che la curiosità per quel Brasile che avete iniziato a conoscere con Terra Nostra vi porti ancora a visitare queste pagine. La porta è aperta, la luce è accesa, potete entrare quando volete. A rileggerci presto.

09 febbraio 2009

Dom Helder Camara: centenario della nascita, decennale della morte


Sono iniziate in questi giorni le cerimonie per il centenario della nascita di Dom Helder Camara (7 febbraio 1909), e sempre quest'anno ricorrerà il decennale della sua morte (27 agosto 1999).
In occasione del centenario le poste brasiliane hanno emesso un francobollo commemorativo, mentre nella città di Recife prenderanno il via numerose iniziative culturali e religiose.

Helder Pessoa Camara nasce a Fortaleza, capitale dello stato del Ceará nel Nordest brasiliano, il 7 febbraio 1909, da João Eduardo Torres Camara Filho, ragioniere e giornalista, e Adelaide Rodrigues Pessoa Camara, maestra elementare. È l’undicesimo dei tredici figli di una famiglia dalle condizioni modeste ma ben inserita nella società locale. Nel 1923, a 14 anni, fa il suo ingresso nel Seminario Diocesano di São José a Fortaleza, all’epoca diretto dai padri lazzaristi. Studente modello, viene ordinato sacerdote a soli 22 anni il 15 agosto 1931. (...)
Questa persona “dall’apparenza modesta” ma accogliente e attenta, nella quale convivevano il contemplativo e l’organizzatore efficiente, il mistico e l’oratore acceso, lo scrittore e il poeta, si forgia a partire da alcune decisioni, apparentemente semplici, prese nel periodo della formazione e nei primi anni di sacerdozio e seguite con rara fedeltà: le Veglie quotidiane dall’una alle cinque del mattino; la Santa Messa “celebrata sempre come se fosse la prima”; “l’utilizzo di schemi al posto di discorsi interamente scritti; la preparazione meticolosa attraverso una meditazione sincera davanti al Signore e l’impegno a non predicare nulla senza averne assoluta convinzione”.(...)
Al Concilio Vaticano II difende l’idea di una Chiesa che cammina decisa verso il futuro, una Chiesa che si preoccupa dei poveri e si impegna nella lotta contro le strutture che generano la povertà. Inizia a tessere una rete di articolate relazioni e nell’ottobre del 1962 giunge a Roma già con un preciso piano di lavoro e di perfezionamento personale. Diventa ben presto uno dei più conosciuti Padri Conciliari, pur senza prendere mai la parola in Basilica. Partecipa attivamente a gruppi informali che avranno enorme influenza sull’elaborazione dei grandi testi conciliari, in particolare la Gaudium et Spes alla cui stesura contribuisce fin dal 1963 tramite il suo impegno nella commissione per l’apostolato dei laici. (...)
Pochi giorni prima del golpe militare del 31 marzo 1964, con cui in Brasile si instaurerà un regime della durata di 20 lunghissimi anni, Paolo VI lo nomina arcivescovo presso la sede episcopale di Olinda e Recife, dove si insedierà il 12 aprile dello stesso anno. La sua nomina viene salutata con favore dai militari che conoscono la sua fama di grande conciliatore. Ma nel discorso di insediamento lascia subito chiara la sua proposta di azione per l’Arcidiocesi, che comprende anche il servizio alla difesa dei diritti umani e all’organizzazione e coscientizzazione delle comunità più povere.(...)
Il 27 settembre 1964 lascia la Segreteria della CNBB in seguito alla sconfitta dei suoi candidati alla nuova direzione della Conferenza. Si dedica allora con maggiore intensità alle comunità più bisognose dell’arcidiocesi e alla lotta per i diritti umani e per la giustizia sociale. In breve tempo, ottiene la fama di “fratello dei poveri”, araldo di quelli “senza voce e senza storia”, “voce scomoda del Vangelo”.
Ancor prima dell’istituzione ufficiale della censura da parte del regime militare, a causa delle denunce esplicite contro la tortura il suo nome viene bandito dai mezzi di comunicazione di massa. La sua voce può essere udita solo a Recife e dintorni, dai microfoni di Radio Olinda. Numerosi suoi collaboratori vengono colpiti dalle persecuzioni del regime e uno di essi, padre Antônio Henrique Pereira Neto, viene arrestato e torturato a morte fra il 26 e il 27 maggio 1969. (...)
Il 26 maggio 1970 al Palazzo dello Sport di Parigi, davanti a oltre 10 mila persone, pronuncia un celebre discorso nel quale racconta la reale situazione del Brasile e denuncia le torture ai prigionieri politici. Da quel momento, gli inviti a tenere conferenze all’estero si moltiplicano e Dom Helder diventa un punto di riferimento internazionale per la difesa dei diritti umani e la lotta contro la povertà nei paesi del terzo mondo: un vero e proprio ambasciatore dei poveri. Gli oltre 80 impegni l’anno al di fuori dei confini del Brasile spingono le gerarchie vaticane a richiedere, qualche anno dopo, una sua maggior presenza in diocesi, la riduzione dei viaggi all’estero e una “moderazione” nel tono e nei contenuti dei suoi discorsi.
Il 17 maggio 1970 compare un articolo sul Sunday Times nel quale Dom Helder viene definito “l’uomo più influente dell’America Latina dopo Fidel Castro”. Sempre nel 1970, con cinque milioni di firme raccolte soprattutto fra i lavoratori del continente, viene indicato al Nobel per la Pace; il governo militare esercita pressioni più o meno occulte e monta una campagna volta a gettare discredito sulla figura dell’arcivescovo. Il premio non gli viene conferito né quell’anno né l’anno successivo, quando viene nuovamente nominato e dato come favorito. Forse a parziale riparazione di questo increscioso “incidente di percorso”, nel 1974 gli viene assegnato sempre a Oslo il Premio Popolare della Pace.
Come leader di movimenti non violenti e membro di 33 organizzazioni nazionali e internazionali si aggiudica altri 22 premi, fra i quali il Martin Luther King (USA) e il Memoriale Giovanni XXIII di Pax Christi. È inoltre insignito di 32 lauree Honoris Causa; ben 27 città, in Brasile e nel mondo, lo nominano cittadino onorario.
Il 10 aprile 1985, colpito dalla regola che lui stesso aveva contribuito a creare e che prevedeva l’allontanamento dal servizio pastorale al raggiungimento dei 75 anni di età, si ritira dal governo dell’arcidiocesi di Olinda e Recife e si trasferisce presso la minuscola e periferica Igreja das Fronteiras (Chiesa delle Frontiere), dove risiederà fino alla sua morte.(...)
Dom Helder muore a 90 anni, il 27 agosto 1999. Decine di migliaia di persone prestano omaggio alle sue spoglie composte all’interno della Igreja das Fronteiras e partecipano al suo funerale nella piazza della Igreja da Sé di Olinda (la Cattedrale della sede episcopale), all’interno della quale riposa il suo corpo. Il tumulo, coperto da una semplice lapide con fotografia, è meta di numerose visite e luogo di raccoglimento e preghiera.
Dom Helder lascia in eredità alle generazioni future non solo un’immagine di bontà e di amoroso servizio ai poveri e alla Chiesa, ma anche un’enorme quantità di scritti.

Dall'introduzione a "Roma, due del mattino. Lettere dal Concilio Vaticano II", ed. San Paolo, 2008.