16 settembre 2010

La cooperazione che non vogliamo

Nell'aprile scorso è comparsa sul Sole24Ore una notizia dal titolo Missione compiuta per la portaerei Cavour. Si parlava della nave italiana inviata ad Haiti per prestare soccorso alle vittime del terremoto, nell'ambito di una missione militare congiunta Italia-Brasile.
Qualche giorno fa ho ricevuto una mail da un caro amico, Angelo F., lettore della rivista delle Missioni della Consolata, che proprio su quella rivista ha trovato utili approfondimenti alla notizia. Vi copio esattamente le sue parole, a cui seguirà qualche mio commento.


La "missione umanitaria" White Crane partita il 19 gennaio (arrivata ad  Haiti il 2 febbraio) e rientrata in Italia il 14 aprile 2010 ha visto  impegnata la portaerei Cavour che ha portato generi alimentari,  materiale medico e militari per la rimozione delle macerie ad HAITI.  La missione è costata complessivamente 11 milioni di euro: infatti la  sola navigazione della nave costa 200.000 euro al giorno con un  impiego di quasi 900 militari. Durante la permanenza ad Haiti (anzi, a Santo Domingo, dove era  attraccata) ha assisitito 100 pazienti.  Ma come, lo stesso denaro non sarebbe potuto essere destinato ad altri interventi più efficaci? (es. aerei cargo, ospedali da campo con invio  di medici anzichè militari, ecc...).
In realtà "si è trattato di un'operazione Italia-Brasile con finalità di cooperazione militare, di grandi investimenti industriali, di  marketing", sostiene la Ong InterSOS. Infatti il Brasile è interessato  all'acquisto di una nave identica alla Cavour e ha così potuto vederla  in azione. Con buona pace dei bambini haitiani che a giudizio dell'on. La Russa,  ministro della difesa, hanno ricevuto notevole supporto dalla portaerei.  Ma i bambini di Haiti hanno davvero bisogno di una nave che costa 1300  milioni di euro ???

Ecco. Volevo dire che non è questa la cooperazione che vogliamo. È una vergogna che l'Italia non rispetti gli impegni presi nei vari vertici internazionali, come ricordava recentemente Action Aid in occasione della pubblicazione dei dati sulla lotta alla povertà. L'Italia, infatti, ha "messo a disposizione della cooperazione per lo sviluppo solo lo 0,16% del Pil, a fronte della media europea che è dello 0,44% e dopo il drammatico taglio del 56% avvenuto nel 2009 rispetto all'anno precedente".
Il Brasile è un paese in crescita, ma ha ancora bisogno di interventi che possano incrementare ulteriormente lo sviluppo umano: educazione di base, formazione professionale, agricoltura familiare, sostenibilità ambientale, lotta alla violenza urbana, riduzione delle gravidanze nell'adolescenza, tutela dell'infanzia e della maternità, solo per citare alcuni dei campi nei quali il Brasile ha fatto passi da gigante negli ultimi anni ma che hanno ancora bisogno di interventi. L
a cooperazione internazionale può fare da catalizzatore a processi già in atto, rafforzandoli, accelerandoli e promuovendo così quella che secondo me è la vera cooperazione internazionale allo sviluppo. In Brasile le iniziative ci sono, le idee ci sono, la cultura c'è e ci sono anche le risorse umane, persone con una formazione invidiabile, una visione del mondo  infinitamente più integrata della nostra, una creatività e una voglia di fare che  nei nostri "paesi per vecchi" latita da fin troppo tempo. A volte scarseggiano le risorse materiali, ed è lì che potremmo seriamente intervenire, mettendo a disposizione niente più del dovuto, niente più di quanto abbiamo preso l'impegno di dare. E se invece di investire miliardi di euro in cooperazione militare alquanto "pelosa" (alla fin fine, lo scopo è quello di piazzare un prodotto Made in Italy, cioè la portaerei costruita da Fincantieri: e questa a casa mia non si chiama cooperazione, si chiama investimento industriale) tenessimo fede una buona volta alla parola data?

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