Stando ai dati divulgati oggi dall'IBGE (Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística), in Brasile l'aspettativa di vita alla nascita è cresciuta, nell'ultimo decennio, di oltre tre anni. Si è passati infatti dai 69,66 anni del 1998 ai 72,86 del 2008. Rimane sempre molto più alta l'aspettativa di vita per le donne, pari a 76,71 anni, mentre gli uomini sono ancora fermi a 69,11.
Siamo ancora lontani dai valori europei (75 anni e mezzo per gli uomini e 82 per le donne) ma questi dati sono incoraggianti, soprattutto se affiancati a quelli della mortalità infantile che è crollata da 100 a 23,30 per mille nati vivi, sempre prendendo in considerazione lo stesso periodo di tempo (1998-2008).
Più drammatiche le statistiche se andiamo a osservare la mortalità giovanile per cause esterne: se si considerano i giovani di età compresa fra 20 e 24 anni, infatti, per ogni donna morta per cause violente si contano ben 9 uomini. Se poi consideriamo la fascia compresa fra 15 e 24 anni, scopriamo che due giovani di sesso maschile su tre, in Brasile, muoiono per cause esterne come la violenza urbana, gli omicidi, gli incidenti stradali.
Ricordo nitidamente che una decina d'anni fa questi ultimi dati erano altrettanto sconvolgenti, soprattutto per quanto riguardava le grandi metropoli come Rio, S. Paulo, Belo Horizonte, Recife, Salvador. A partire dai dati demografici possiamo azzardare analisi sulla società nel suo insieme, e quindi affermare senza timore di essere smentiti che, mentre le condizioni generali di vita (alimentazione e salute in primo luogo) stanno progressivamente e visibilmente migliorando, a ciò non corrisponde una diminuzione della violenza umana.
Così, anche quella che sembrava una buona notizia viene tinta da una nota di amarezza e dalla constatazione che ci vuole ben altro che cibo e salute per rendere gli esseri umani più "persone".
Bisogna agire di più sulla cultura, sull'educazione, sulla civiltà, sulla tolleranza, sulla risoluzione non violenta dei conflitti, sull'assunzione di responsabilità individuale e collettiva. Il Brasile ha bisogno, oggi più che mai, di profeti della non violenza come Dom Helder Camara, Paulo Freire, Betinho, giusto per citare le personalità più illustri che il Brasile abbia prodotto nel XX secolo.
Speriamo davvero che anche le nuove generazioni sappiano partorire grandi pensatori che aiutino a ricostruire un tessuto sociale pacifico, rispettando il codice genetico di questo grande popolo, da sempre portatore sano di tolleranza e accoglienza.
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